THAILANDIA – Una giovane bellunese racconta la sua esperienza missionaria con “Missio Giovani”

«Ragazzi, avete mai piantato il riso?»

Sono bastati una mezza giornata e qualche gioco serale da noi organizzato per essere assaliti da abbracci…

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Phayao (Thailandia), agosto 2019.

Ci troviamo seduti in cucina a gustare una stravagante merenda a base di riso bianco scondito e mango quando Pablo, il nostro simpaticissimo missionario colombiano, ci propone una gita di due giorni in una zona non troppo lontano da Chiang Kham.

Le parole di Pablo erano state: «Ragazzi, avete mai piantato il riso?» Eravamo in Thailandia, nella terra che, insieme al resto dell’Asia orientale, ha come base di qualunque pietanza il riso…e veniva chiesto proprio a noi di piantarlo! Naturalmente abbiamo accettato subito.

La piantagione si trova all’interno di una comunità cattolica dove bambini e ragazzi risiedono durante il periodo scolastico, non potendo raggiungere facilmente la scuola a causa della distanza da casa e della condizione delle strade, particolarmente pericolose durante il periodo delle piogge.

La tecnica più diffusa nel nord della Thailandia consiste nel piantare i semi in maniera fitta in un piccolo settore dell’acquitrino, aspettare che germoglino, raccoglierli e ripiantarli con ordine minuzioso, a una precisa distanza l’uno dall’altro, nei terreni rimanenti. È stato questo, concretamente, il nostro compito. Il lavoro è duro e faticoso poiché costringe la schiena a stare sempre piegata con le mani che, per forza di cose, devono raggiungere il fango sottostante il livello dell’acqua, non permettendo nemmeno di accovacciarsi senza inzupparsi. Se la prima mattina abbiamo affrontato la raccolta con appositi stivali di gomma, il giorno seguente abbiamo seguito l’esempio dei nostri piccoli aiutanti, i bambini, e siamo entrati nella melma a piedi scalzi. Il fango arrivava alle ginocchia e la sensazione al tatto era viscida, fredda e appiccicosa… possiamo dire di aver fatto i fanghi!

I bambini attorno a noi ragazzi europei ridevano alla vista delle nostre facce schifate nel momento di immergere i piedi nell’acquitrino; ma appena incrociavamo i loro sguardi si voltavano imbarazzati e tornavano al loro lavoro: era impressionante la velocità e la facilità con cui raccoglievano e piantavano. Se non ci avessero aiutato noi italiani saremmo ancora lì a piantare germogli! Pur ringraziando le nostre schiene doloranti, eravamo tutti dispiaciuti di dover lasciare la risaia e i bambini con noi; se inizialmente il loro comportamento nei nostri confronti era stato schivo, a poco a poco si erano lasciati andare e i loro sguardi dimostravano curiosità e voglia di conoscerci. Erano bastati una mezza giornata e qualche gioco serale da noi organizzato per essere assaliti da abbracci e chiacchiere che al primo momento non ci saremmo mai aspettati.

Margherita