Quando un racconto, qualsiasi racconto finisce tristemente, quando il finale di un film o di un teatro finisce in tragedia inaspettata, il contrario della cosiddetta “conclusione a lieto fine”, tutta la narrazione viene intristita.
Si era cominciato tanto bene, con una sagra di paese, dove tutti erano coinvolti per un invito senza limitazioni di sorta; e finisce con un invitato che ha mancato di riguardo non indossando l’abito da nozze, il vestito da festa.
1. È più che legittima la prima domanda, e ci riguarda come credenti: la salvezza – chiamiamola così, anche sta volta – è una faccenda da addetti ai lavori, oppure è veramente offerta a tutti? Il Regno dei cieli – Gesù lo chiama ostinatamente così, sperando che noi capiamo – è il tema centrale anche di questa domenica: che cosa sarà il Regno di Dio? A chi è destinato, e chi potrà entrarci?
Una risposta ad ampio raggio l’ha già data il profeta Isaia: il Regno di Dio sarà un meraviglioso banchetto preparato da Dio, sarà la grande festa della salvezza. In quel Regno non ci sarà più sofferenza, né pianto, né morte. Ad esso sono chiamati “tutti i popoli”, nessuno escluso, perché suonerebbe stonato un invito che esclude qualche porzione di umanità.
Tutti sono chiamati, ma ci entreranno solo quelli che potranno dire: “In lui abbiamo sperato”. Questi sperimenteranno la salvezza donata dalla “mano di Dio”.
2. Nella parabola – che l’evangelista Matteo offre senza sorvolare sui dettagli – c’è come una risposta più organica. I primi invitati erano indubbiamente gli ebrei che, per il fatto stesso di appartenere al popolo della chiamata, dell’alleanza con Abramo, potevano ritenersi i veri invitati.
Con il loro atteggiamento nei confronti di Gesù, però, stanno imbastendo il rifiuto molto deciso, arrogante. Inoltre, maltrattano e uccidono i messaggeri che recano loro l’invito. Dio quindi quasi quasi si arrende davanti alle loro scelte negative e malvagie.
Ora viene il momento di una strategia diversa, rivolta a tutti gli uomini, lungo tutte le strade del mondo, sia ai cattivi che ai buoni. Resta però una condizione: gli invitati devono presentarsi alla festa con l’abito adatto, altrimenti ne saranno esclusi.
3. Questa è stata la vicenda terrena di Gesù: egli stesso si è fatto invito. Tutto il popolo ebraico, pur forgiato dall’attesa del Messia, non ha riconosciuto lo sposo, Gesù, come figlio di Dio, non lo ha valutato come motivo sufficiente per dire di sì all’invito.
Qui si amplia a dismisura il ventaglio di coloro che possono diventare commensali a quel banchetto di nozze: tutti gli uomini, l’umanità in quanto umanità. Chi non entra non può incolpare Dio della esclusione, ma solo la propria mancata volontà di indossare l’abito adatto, quello della conversione.
E la conversione corrisponde proprio all’impegno di «rivestirsi del Signore Gesù». Questo ci viene ricordato quando riceviamo il battesimo, e ci viene consegnata una veste bianca: “ricevi questo segno della tua nuova dignità; portala senza macchia fino alla vita eterna”.
Responsabili sì; ma soprattutto contenti. Dell’invito, della veste, della compagnia che si condivide dicendo sì a Dio.