A cura di don Roberto De Nardin (6ª domenica del tempo ordinario - Anno B)

Se vuoi, puoi

Solo chi riconosce di essere malato può guarire

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Un difetto fisico, più o meno evidente; un’incapacità nel riuscire a far qualcosa, a esprimersi o farsi notare; una diversità di qualsiasi tipo, dal paese di origine al colore della pelle; l’evidenza esasperata di essere sempre l’ultimo; il peso di una parentela scomoda che genera vergogna. Ecco solo alcuni ingredienti esiziali che creano quel ordigno della natura umana: la presa in giro. Quella cattiva, subdolamente violenta, velenosa, quella che genera esclusione, stigma sociale, rabbia, sofferenza…lebbra. Inutile che ce lo nascondiamo: chi di noi da giovanissimo – nell’“età dell’innocenza”… ma sarà vero? – non è mai stato preso in giro dai compagni, capeggiati dai soliti leader di turno; chi non è stato mai escluso tra chi è “dentro” e chi è “fuori”, rimanendo magari così classificato vita natural durante; chi, pur essere accettato, non si è mai adeguato alla massa? Forse tutto questo non lo ricordiamo. Se così, tanto meglio: segno che abbiamo raggiunto la nostra autonomia. Se invece di subirlo, lo avessimo compiuto sugli altri, meglio attivare presto, se funziona ancora, la nostra coscienza! Ad ogni modo, anche solo ad immaginarlo, ci nasce dentro rabbia e tenerezza insieme: perché essere emarginati bello, senza dubbio, non è. Di questo si soffre, e non poco.

Ecco, il lebbroso del vangelo di questa domenica non ha avuto possibilità di riscatto, la sua condanna è stata sancita: egli è e resta un morto che cammina. È ancora vivo, ben si intende, ma proprio qui sta il dramma: il suo stesso esistere è la trappola che non gli permette di sfuggire alla presa in giro del mondo intero. E la sofferenza si amplifica all’ennesima potenza per un motivo ancora più profondo: il suo male è considerato addirittura castigo di Dio. “Impuro, impuro”, il Levitico è fin troppo chiaro – sembra di sentire la voce sguaiata di bambini molesti, che accerchiano il malcapitato e lo prendono in giro – e questa discriminazione ferisce la nostra sensibilità. Avvertiamo in fondo al nostro cuore un’urgenza: c’è bisogno di voltare pagina. Dentro quelle vesti stappate c’è una persona; sotto quel velo imbrattato di sangue che copre la bocca c’è una voce, che piange, che soffre, che grida, che chiede aiuto …a voce alta. Qui sta la grandezza del Vangelo ed è la grandezza del lebbroso che Marco oggi ci fa incontrare. Egli è un uomo, innanzitutto, la cui storia sanguina, in tutti i sensi, ma che egli non ha definitivamente abbandonato. “Se vuoi, puoi purificarmi”. Si apre una strada, si concede la possibilità di chiedere aiuto…al solo in grado di guarire. “Se vuoi, puoi”.

Eh sì, solo chi riconosce di essere malato può guarire! Affermazione banale, forse, ma in realtà unica condizione di possibilità anche per noi, “lebbrosi” di oggi. I tempi cambiano, la nostra pelle è sicuramente curata e sana, le vesti sono magari pulite e nuove, ma dentro il cuore qualcosa sanguina sempre: se non riconosciuto, se non curato, questo male senza accorgerci ci mangia dal di dentro; corrode progressivamente i frutti più belli che la vita ogni giorno può donare: gratitudine, fiducia, stupore…amore. Dunque – non c’è bisogno di menare in giro anche noi stessi – prendiamo il coraggio di guardarci dentro, riconosciamo di essere tutti un po’ malati. Tuttavia, questo non basterebbe, se non sapessimo chi pregare. «Se vuoi, puoi guarirmi». Il lebbroso ha superato lo scoglio tremendo che la società e la sua stessa religione gli hanno imposto; egli ha fatto il primo passo; lui, da solo, con il suo Signore. Compassione, tenerezza, contatto. E la guarigione avviene. Solo dal coraggio di chi la chiede. Quanto bisogno di questo coraggio nella nostra vita, nelle nostre relazioni, nelle nostre stesse comunità!

Aiutaci, fratello lebbroso, a chiedere con insistenza la guarigione del nostro cuore. Da morto che cammina e sei stato guarito dal tuo male; nella compassione hai visto la salvezza; disubbidiente al comando del Maestro, sei diventato annunciare veloce ed efficace della vita nuova da Lui compiuta in te. Aiuta anche noi, credenti fiacchi e un po’ lebbrosi, ad andare a Lui, senza paura, senza merito, senza pretesa, consapevoli solo della forza della fede, che la vita rigenera sempre.