A cura di don Renzo Roncada (Seconda domenica di Pasqua)

Si scrive una storia nuova

Non siamo noi che custodiamo la fede, ma è la fede che custodisce noi

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Leggiamo nel libro degli Atti degli Apostoli, libro scritto da san Luca, che «Quelli che erano stati battezzati erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere»; e nel Vangelo di san Giovanni si legge: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto».

Qualcuno prova a mettere in pratica questo insegnamento; qualcuno è intenzionato a scrivere una storia nuova; qualcuno intende dimostrare che, con l’aiuto dello Spirito Santo, è possibile un modo diverso di vivere; basta pensare alla prima lettura: «Chi aveva proprietà la vendeva e ne faceva parte secondo i bisogno di ciascuno». Quello descritto negli Atti degli Apostoli è un quadro a tinte ideali. Certamente ci sono state anche delle ombre di chi si era tenuto per se una parte del ricavato, come narra la vicenda di Anania e Safira, scritta in altra parte dello stesso libro. Questo episodio è quasi una predica che indica che il male non sta lontano dalla Chiesa. Tuttavia è importante sottolineare l’impegno, la volontà di realizzare un progetto diverso. L’evangelista usa una parola greca che indica essere fedeli, perseveranti, determinati in qualche cosa e questo faceva sì che negli apostoli si perpetuassero i miracoli di Gesù. Dunque, frazione del pane, fedeltà alle prediche degli apostoli, lunghe preghiere tutti assieme, fraternità. È vero, come dicevo prima, che era un progetto di vita ideale, comunque un progetto con il quale noi dobbiamo confrontarci.

San Pietro nella seconda lettura, sottolinea fortemente la dimensione della fede e della speranza, oltre che dell’amore su cui si fonda l’edificio della chiesa: «Anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove…», e poi ci sarà un altro po’ di tempo, e poi un altro ancora. Ma è così che si consolidano la fede, la speranza, l’amore. Anche in mezzo a tante prove e difficoltà splende il sole di una «gioia indicibile e gloriosa». Addirittura san Pietro parla di una Chiesa che «possiede una eredità che non si corrompe e che è conservata nei cieli per voi». E siccome questa eredità è stata trasferita «lassù», ed è quindi inattaccabile, la Chiesa può muoversi sulla terra con libertà, non avendo niente da difendere “quaggiù”.

È interessante sottolineare un’osservazione insolita. Dice san Pietro: «Saremo custoditi mediante la fede per la nostra salvezza». Quindi non siamo noi che custodiamo la fede, ma è la fede che custodisce noi. E allora, come dice san Paolo, “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo” che continua a usarci misericordia e così ci consente di capire e rimediare agli errori che continuamente facciamo.

La pagina del Vangelo, con il racconto di Tommaso, sembra aiutarci. È una comunità appena fondata e qualcuno è già in crisi: «Se non vedo non crederò». Eppure il Risorto non gli punta contro l’indice minaccioso, al contrario invita l’apostolo a mettere il dito nelle sue ferite. Ossia a vedere e toccare i segni di un amore che si è manifestato sul calvario e che non viene mai meno e che è offerto a tutti, anche ai “ritardatari”.

Un dito minaccioso, come facciamo tante volte noi, non ha mai salvato nessuno, non ha mai costruito niente. Sembra una contraddizione, ma il guaio grosso è rappresentato dalla troppa visibilità di certi cristiani che si ritengono testimoni, ma che non sono per niente tali.

E allora: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto». E aggiungiamo pure: «Beati quelli che, pur avendo visto, continueranno a credere».

 

Nella foto: formella dell’apparizione di Gesù a Tommaso apostolo;
Via Crucis della chiesa parrocchiale di Gron (Sospirolo)