«Siamo fatti per amare, nonostante noi», canta Nek in uno dei suoi successi: nonostante le difficoltà e le sfide che ciascuno di noi incontra nel suo cammino, sappiamo che ci sono relazioni che ci fanno sentire vivi, che danno senso alla nostra esistenza, che sono parti di noi. Siamo intessuti delle storie che abbiamo incrociato, delle persone che abbiamo incontrato, dell’educazione e degli esempi che abbiamo ricevuto. Persino la nostra storia di fede è il grande puzzle della testimonianza di persone concrete, con il loro modo di vivere il Vangelo, con le loro ferite e i loro difetti.
Queste storie che si intrecciano e si fondono sono il nostro nome proprio: non è un dettaglio da trascurare che il Vangelo ci fornisca il nome del pover’uomo in attesa degli avanzi del banchetto. Lazzaro: ha solo il nome, questo personaggio. Eppure, in quel nome è racchiuso tutto quel tesoro di relazioni, di incontri, di persone che il cuore custodiva: in ebraico, questo nome significa “Dio assiste, Dio aiuta”. Lazzaro è parte di una storia, che parte da Abramo e che eredita la promessa che Dio fa al grande patriarca. Del ricco, non sappiamo nulla se non quello che possiede: tessuti sfarzosi, una casa sontuosa, cibi abbondanti e raffinati. Dell’unicità di quest’uomo, della sua storia, nessuno sa nulla: solo quando la morte ha sigillato con la sua definitività la vita di quest’uomo veniamo a sapere che ha dei fratelli.
Gesù, pur ricorrendo all’immaginario collettivo del suo tempo, non divide il mondo tra salvati e dannati o tra ricchi e poveri; semplicemente, ancora una volta – lo ha fatto con le parabole delle domeniche precedenti –, Gesù ribadisce qual è il tesoro della vita, a chi chiedere di rischiarare la nostra ricerca di senso e i nostri scoraggiamenti. La Parola, Mosè e i profeti, il Vangelo continuano a suggerirci che il Signore è presente nella storia e nelle vicende umane, anche lì dove i gaudenti sembrano trionfare a scapito della povera gente: il giudizio del profeta Amos è tagliente, ma ricco di speranza, carico di uno sguardo pieno di fiducia nella presenza di un Dio che si fa vicino al cammino del suo popolo.
Possiamo chiederci, allora, se anche la crisi politica, sociale ed economica che stiamo attraversando non abbia qualcosa da dirci, non possa essere vissuta alla luce della Parola di Dio: il Cristianesimo non è rinchiudersi in sé stessi con il proprio Dio, alla ricerca di una quiete che sa più di palliativo che non di rapporto autentico, ma il tenere il cuore e la mente costantemente aperti all’altro, immagine di Dio, messaggero di Dio, riflesso di Dio. Il rivedere il nostro modo di consumare, l’attenzione all’impatto che il nostro agire ha sul pianeta, la necessità di formulare un nuovo modello di sviluppo sostenibile che papa Francesco ci ha suggerito nell’enciclica Laudato si’ sono il tentativo di accorgersi di quel povero davanti alla nostra porta, di quello che accade fuori della finestra, delle conseguenze che le nostre azioni hanno.
La preghiera perché le guerre cessino, l’accoglienza sentita di chi fugge, lo sforzo per promuovere costantemente la pace, l’ascolto e il dialogo – anche in Italia! – sono dovere di ogni cristiano che sgorga da uno sguardo attento, pensoso, incapace di rassegnarsi. La cura delle relazioni – a cominciare da quelle di ogni giorno, che sono le più difficili! –, la giustizia, la pietà, la fede, la carità, la pazienza, la mitezza che Paolo ci ha suggerito sono il segreto che la Parola continua ad indicare come il segreto della vita piena, della vita buona che porta alla vita eterna. Perché siamo fatti per guardare, per cercare di capire, per muoverci, agire, cambiare il mondo: siamo fatti per essere vivi. Per amare.