24.ma domenica del tempo ordinario - Anno A

Siamo tutti debitori perdonati

A cura di un parroco di montagna

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Siamo a quel punto del vangelo di Matteo, chiamato “il discorso sulla comunità”. Esso si fa molto concreto, non sta sulle generali né sulle nuvole: parla della conflittualità.

La domanda di Pietro: «Devo perdonare fino a sette volte?», rivela che offese, screzi, dissensi e torti si verificano ripetutamente. Capitano, nella comunità. Sono proprio le piccole offese quotidiane che sono le più difficili da perdonare: quelle solite battute infelici, quelle parole che fanno male. Una colpa molto grande è quasi più facile da rimediare e da perdonare. Sono le offese reiterate, anche se piccole, che diventano insopportabili.

Pietro domanda: «Se il fratello pecca contro di me…». Forse non pensa quanto potrebbe lui stesso peccare contro il fratello. Comunque anche nella comunità santa dei Dodici, attorno a Gesù, avvengono screzi e conflitti. Molte volte il vangelo lo ricorda: il vangelo è sincero e non tace per evitare brutte figure agli apostoli. Mancanze all’interno di una comunità, torti e dissapori sono da mettere in conto: capitano!

Ma c’è il rimedio: il perdono. È l’unico! Il perdono dimentica, è fiducioso nei confronti del fratello, comincia sempre da capo. Se non dimentica veramente e non crede nella buona volontà del prossimo, non è perdono. Perdono che se la lega al dito non assomiglia a quello di Dio per noi.

Pietro capisce che la regola è perdonare sempre. «Sette volte» è quasi sempre. Gesù precisa: «settanta volte sette», per dirgli: proprio sempre! Il perdono cristiano dev’essere senza limiti, ma per convincere di questo ci vuole una motivazione adeguata, quella della parabola.

La parabola del servo spietato, o del padrone che cancella il debito enorme, dice che Dio fa oggetto i suoi figli di un perdono senza limiti. Ed è inconcepibile tenersi per sé un dono immenso, e gratuitamente ricevuto, senza a nostra volta perdonare generosamente e senza misura a imitazione di Dio.

Il nostro debito nei confronti di Dio è impagabile per tutti i doni ricevuti, oltre al perdono tante volte chiesto per i peccati. Il perdono che diamo a nostra volta al fratello non è frutto della nostra bontà soltanto, è piuttosto la conseguenza del perdono datoci da Dio. Il sollievo provato, col perdono ricevuto, si comunica nel sollievo dato ad altri col perdono e con la pazienza.

Scopo principale della parabola non è quello di far vedere la diversità del comportamento divino nei confronti nostri, a seconda che sappiamo perdonare o meno. Scopo è far vedere quanto sia degno di condanna quel cristiano che è perdonato, ma non perdona, cioè non imita il comportamento di Dio donando la stessa gioia al prossimo.

Gesù parla di servi, che sono compagni di fronte al padrone. Pietro aveva parlato di fratelli e in seguito il vangelo parlerà di fratelli: tutti uguali, perché tutti debitori perdonati. Tutti hanno sulle spalle un debito sproporzionato nei confronti di Dio: diecimila talenti è un debito talmente grande da poterlo paragonare al bilancio di uno stato. Ma questo Dio è Padre che si commuove alla richiesta di aver pazienza con noi e ha già cancellato i nostri debiti.

È su questo condono che si deve basare la relazione tra fratelli, perché siamo tutti perdonati: il che esige che ci si scambi sempre un perdono reciproco!