L'omelia del card. Stella in Cattedrale a Belluno

Festa doppia in Cattedrale a Belluno: per san Martino e per papa Luciani

Nella solennità di san Martino, patrono della città e della diocesi

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Assemblea delle grandi occasioni nella Basilica Cattedrale di Belluno, nella mattinata di sabato 11 novembre. Dopo la processione di ingresso l’ampio presbiterio era occupato in ogni ordine di posto. Insieme a una settantina di presbiteri e ai diaconi, c’erano quattro vescovi: a presiedere è stato invitato dal Vescovo il card. Beniamino Stella, postulatore della causa di canonizzazione di papa Luciani; con lui c’erano il vescovo di Vittorio Veneto mons. Corrado Pizziolo, il vescovo emerito Giuseppe e il vescovo Renato, come “padrone di casa”. Erano presenti anche numerosi preti e fedeli di Vittorio Veneto e, in rappresentanza di mons. Moraglia, il pro-vicario generale del Patriarcato di Venezia.

Ad animare la celebrazione una numerosa corale, composta dalle Scholae cantorum dell’Agordino e guidata da don Sandro Gabrieli. Infatti – per uno scherzo del destino o per una delicatezza della Provvidenza – quest’anno toccava proprio alla forania agordina il pellegrinaggio alla Cattedrale. In prima fila le autorità civili, fra le quali si distinguevano le fasce tricolori del sindaco di Belluno e di quello di Canale d’Agordo.

Al termine della celebrazione il card. Stella ha invitato l’assemblea alla lode per la felice conclusione dell’iter canonico, che ha portato alla firma del decreto “super virtutibus” di papa Luciani: il canto del Magnificat era quanto mai adatto all’occasione, ricordando che solitamente Dio guarda all’umiltà dei suoi servi. Il processo diocesano, iniziato da mons. Savio il 23 novembre 2003, si era concluso in cattedrale il 10 novembre 2006. Undici anni dopo la Chiesa di Belluno-Feltre si ritrova nella chiesa-madre per la proclamazione delle virtù. Dopo il vangelo il card. Stella ha così parlato ai presenti.

L’omelia del card. Beniamino Stella

Eccellenze Reverendissime, cari sacerdoti e fedeli tutti, con gioia siamo riuniti di fronte all’altare del Signore in questo giorno, dedicato a San Martino di Tours, per affidare alla sua intercessione la città e la diocesi di cui egli è il Patrono.

Oggi però abbiamo una ragione in più per ringraziare il Signore per i Suoi doni, dal momento che giovedì scorso la Congregazione delle Cause dei Santi ha promulgato il Decreto che riconosce l’eroicità delle virtù di Giovanni Paolo I, del “nostro” Albino Luciani, vostro concittadino e mio Vescovo, al tempo della mia ordinazione presbiterale; desidero perciò guardare a San Martino e al “venerabile” Giovanni Paolo I come modelli per il cammino di santità di ciascuno di noi.

Nel brano di Vangelo che abbiamo appena ascoltato, dopo aver elencato alcune opere di carità, compiute in favore di persone povere, bisognose o in qualche modo sofferenti, Gesù enuncia il principio fondamentale che unisce l’amore per Dio a quello per il prossimo: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (25, 40), mostrando anche la natura della carità, evangelicamente intesa.

Tale attenzione all’altro – è bene essere onesti – non sorge sempre spontaneamente, perché il prossimo spesso può non essere simpatico e accogliente. D’altra parte, ogni resistenza può essere vinta quando nell’altro che ci viene incontro vediamo Cristo, e nei suoi bisogni riconosciamo una chiamata per noi da parte di Dio. Per questa via si può passare dal fare, di tanto in tanto, qualche buona azione, al vivere la carità nella quotidianità della nostra esistenza, perché essa è il contesto più idoneo – quello in cui Dio ci ha posti – per la nostra santificazione.

Guardiamo ora a San Martino. È noto il gesto con cui – cristianamente formato, ma non ancora battezzato – ha diviso il proprio mantello, perché uno sconosciuto mendicante potesse coprirsi dal freddo, spinto dall’amore per il prossimo e dall’indifferenza dei passanti. Come narra una biografia del Santo, «poiché il povero pregava i passanti di aver pietà di lui, e tutti passavano oltre senza curarsi dello sventurato, Martino ricolmo di Dio comprese che, siccome gli altri si rifiutavano a un atto di carità, quel povero era riservato a lui» (Sulpicio Severo, Vita di Martino, 3,1). Allora il giovane militare si rende conto di non aver nulla di superfluo, ma solo, scrive la nostra fonte, «il mantello, di cui era vestito; […]. E così, brandita la spada che aveva alla cintura, divise il mantello a metà, e ne donò al suo povero una parte, dell’altra si rivestì» (Vita di Martino, 3,2). Secondo la medesima vita di Martino, la notte seguente, in sogno, il Santo «udì Gesù dire con chiara voce alla moltitudine di angeli che stavano intorno a lui: “Martino, che ancora non è che un catecumeno, mi ha coperto con questa veste» (Vita di Martino, 3,4).

Mi permetto un inciso al riguardo; recentemente, sono stato a Madrid e davanti alla Cattedrale dell’Almudena ho visto una statua in metallo, opera di un artista canadese (Thimoty P. Schmalz), intitolata “Jesús desamparado”, recentemente (maggio 2016) benedetta dall’Arcivescovo, Cardinale Osoro.

A misura d’uomo, rappresenta un povero, senza tetto, che dorme su una panchina; è totalmente avvolto in una coperta, dalla quale sporgono il profilo di un volto e i suoi piedi nudi, su cui sono i segni dei chiodi. Diverse persone passavano davanti e ne baciavano i piedi, certamente con il proposito in cuore e la devozione di baciare le piaghe di Gesù. Un gesto eloquente, dove la pietà dei fedeli coglie nella persona del povero il corpo di Cristo stesso, proprio come aveva intuito San Martino.

San Martino, dicevo, “comprese che quel povero era riservato a lui”; il bisogno dell’altro non è un fastidio o un inconveniente per San Martino, bensì un’opportunità di riconoscere il Signore presente nella sua vita e di servirlo, attraverso la cura prestata a un altro essere umano: uno sconosciuto, trattato come un fratello, ricorrendo non a beni superflui, ma addirittura condividendo il necessario.

Mi pare un bel punto su cui misurarci come cristiani, in un raccolto esame di coscienza: l’altro, colui che soffre, colui che irrompe inatteso nella mia vita, lo vedo come un disturbo alla mia quiete e ai miei beni o, piuttosto, come una opportunità – di fatto, un regalo – per vivere e annunciare il Vangelo, datami da Dio?

Guardando a San Martino e tenendo conto dei tempi odierni, credo che non si possa eludere la risposta a tale domanda, che ciascuno di noi è chiamato a dare con la propria vita. Non a caso – mi pare – al termine del Giubileo della Misericordia di un anno fa, Papa Francesco ha voluto istituire la Giornata Mondiale dei Poveri, che si celebrerà domenica prossima 19 novembre, presentandola come occasione di conversione personale e di evangelizzazione.

Scrive al riguardo il Santo Padre: «Sarà la più degna preparazione per vivere la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il quale si è identificato con i piccoli e i poveri e ci giudicherà sulle opere di misericordia. Sarà una Giornata che aiuterà le comunità e ciascun battezzato a riflettere su come la povertà stia al cuore del Vangelo e sul fatto che, fino a quando il povero giace alla porta della nostra casa, non potrà esserci giustizia né pace sociale. Questa Giornata costituirà anche una genuina forma di nuova evangelizzazione, con la quale rinnovare il volto della Chiesa nella sua perenne azione di conversione pastorale per essere testimone della misericordia» (Lettera Apostolica Misericordia et misera, n. 21).

Partire dall’attenzione al prossimo nella carità, dalla messa in pratica delle virtù trasmesse dal Vangelo e da un cammino verso la santità che passa attraverso circostanze concrete di vita ordinarie e quotidiane, permette di spostare l’attenzione, da San Martino, a Giovanni Paolo I, il cui cammino verso la gloria degli altari ha da poco compiuto un passo significativo, con la dichiarazione dell’eroicità delle sue virtù.

Mi pare prima di tutto importante chiarire il significato di tale espressione, per situarla all’interno della visione cristiana della santità: «La virtù eroica è l’esercizio in grado eminente della virtù. Nella virtù eroica il livello morale in essa presente si eleva al di sopra del livello morale di quasi tutti gli uomini», ha scritto il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Cardinale Angelo Amato, il quale ha aggiunto che «il grado eroico è riconoscibile, in primo luogo dalla frequenza, dalla grande prontezza e dal carattere gioioso dell’attività virtuosa; in secondo luogo dal fatto che anche ostacoli difficili, costituiti da circostanze esterne o da intralci interni, vengono superati in modo tale che l’eroe virtuoso può essere considerato capace di grandi sacrifici per il Vangelo nella totale abnegazione di se stesso» (L’Osservatore Romano, 30 aprile 2009).

La prima virtù di Albino Luciani, che ha fatto da sottofondo alla sua esistenza di prete, di Vescovo e di Papa, sino a farla diventare il suo motto episcopale e a dedicarle la prima Udienza Generale come Papa (6 settembre 1978), è stata l’umiltà, per lui una scelta di vita, con la quale custodire tutte le altre virtù.

In una sua Omelia per la festa della Madonna della Salute, a Venezia, la descrisse in questi termini: «Essere umile significa, nei confronti degli uguali, essere semplici. Quindi non cedere alla smania di distinguersi, di mettersi eccessivamente in mostra, di voler meravigliare gli altri, di far carriera sgomitando e pestando i piedi altrui; cercare di essere quel che si deve essere; apparire quello che in realtà si è e non di più» (Positio I, 191).

Come in San Martino, tuttavia, anche in Albino Luciani la carità fu la “trasparenza” del Vangelo, da lui vissuto e annunciato. Essa, infatti, è stata parte essenziale della vita e oggetto della riflessione di Papa Luciani nella sua ultima Udienza come Pontefice. Con efficace immagine, la descrisse in quell’occasione come un viaggio per andare incontro a chi sia ama: «Insomma: amare significa viaggiare, correre con il cuore verso l’oggetto amato. […] Amare Dio è dunque un viaggiare col cuore verso Dio. Viaggio bellissimo […]. Il viaggio porta anche dei sacrifici, ma questi non devono fermarci. Gesù è in croce: tu lo vuoi baciare? Non puoi fare a meno di piegarti sulla croce e lasciarti pungere da qualche spina della corona, che è sul capo del Signore […]. L’amore a Dio è anche viaggio misterioso: io non parto cioè, se Dio non prende prima l’iniziativa [..] Dio non soltanto ti attira in modo che tu stesso voglia, ma perfino in modo che tu gusti di essere attirato» (Udienza Generale, 27 settembre 1978).

Mentre leggiamo belle pagine della loro vita, come quelle appena menzionate, bisogna ricordare che i Santi non sono solo da ammirare, ma soprattutto da imitare, perché, come bravi fratelli maggiori, ci mostrano come hanno fatto loro per mettere in pratica il Vangelo e ci sono offerti dalla Chiesa come modelli, perché anche noi camminiamo sulle loro orme sulla via della santità.

Quando dico “noi” intendo “noi tutti”, nessuno escluso, perché ogni battezzato è chiamato alla santità, come ha ricordato Papa Francesco sin dagli inizi del Suo Pontificato: «Essere santi non è un privilegio di pochi, come se qualcuno avesse avuto una grossa eredità; tutti noi nel Battesimo abbiamo l’eredità di poter diventare santi. La santità è una vocazione per tutti. Tutti perciò siamo chiamati a camminare sulla via della santità» (Angelus, 1° novembre 2013).

Si tratta di parole che ci incoraggiano e ci responsabilizzano nel nostro cammino, mentre richiamano alla memoria altre Omelie dell’allora Patriarca di Venezia, Albino Luciani, il quale diceva: «La santità vissuta è molto più estesa della santità proclamata ufficialmente. Il Papa canonizza è vero, solo santi autentici […]. Se noi facciamo qui in terra una specie di selezione, Dio non la fa in cielo; arrivando in Paradiso, troveremo probabilmente mamme, operai, professionisti, studenti collocati più in su dei santi ufficiali che veneriamo in terra», e «si scopre magari che una madre di famiglia è più su di qualche suora, un operaio più avanti di qualche prete, un’umile suora ha la precedenza su qualche Vescovo» (Positio I, 205).

Oggi vogliamo uscire da questa Santa Messa pieni di gratitudine e con la gioia nel cuore per il dono che i Santi costituiscono per la Chiesa e, in concreto, per ciascuno di noi. San Martino e il venerabile Albino Luciani in vario modo sono entrati nelle nostre vite, ciascuno incarnando una pagina dell’unico Vangelo di Cristo, che da essi ci è stato testimoniato e annunciato. Preghiamo perché con il loro esempio e la loro intercessione anche noi possiamo oggi seguire Cristo con maggior decisione e generosità ed essere con la nostra vita un segno efficace e credibile dell’amore che Dio ha per tutti gli uomini. Amen.