A cura di don Renato De Vido (22ª domenica del tempo ordinario - anno A)

Sullo spartiacque del Vangelo

Se Cristo passa attraverso la passione, è perché il volto di Dio si comprende meglio così

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Lezione severa, molto severa. Non solo perché Pietro viene svergognato, ma perché a ciascun discepolo resta in mente questo: seguire Cristo è mettere in conto la sofferenza. Lezione severa anche perché non premia – apparentemente – il nostro desiderio di “autorealizzazione”, di “essere noi stessi”. A cominciare dal bambino piccolo che prova un gusto particolare a dire no quando gli si chiede qualcosa di contrario alla sua volontà.

1. Effettivamente questo brano di Matteo gioca il ruolo di spartiacque di tutto il Vangelo. «Gesù cominciò a dire che doveva molto soffrire e venire ucciso». I discepoli, che hanno partecipato con entusiasmo alla missione evangelizzatrice assieme a Gesù, iniziano a sentir parlare di passione, morte e risurrezione. Il buon senso di Pietro naufraga sdegnosamente di fronte a questa prospettiva: questo è scandalo. Accettare Gesù come Messia è ancora ammissibile. Ma che il Messia debba terminare la sua vita con una morte vergognosa, ciò è davvero inammissibile.

Gesù replica a sua volta che, invece, è scandalo, cioè inciampo chi la pensa diversamente da lui. Se lui vuole, e deve arrivare fino alla sommità del Calvario, nessuno ha diritto di sbarrargli il passo, fosse anche quel Simone, appena nominato Papa, appena chiamato “pietra”. Appunto: una pietra che in questo momento si frappone anziché rendere più fermo il cammino di Cristo e di ogni croce.

2. Il rimprovero severissimo che Cristo gli riserva – mai nessuno lo aveva chiamato “satana” – è proprio questo: si è scordato di vedere le cose dalla parte di Dio. Si è limitato a rifiutare quella che è una prospettiva veramente squallida nella vita del Maestro, cioè l’umiliazione e l’eliminazione fisica. Non è andato a cercare il perché.

Ci occorre, allora, il punto di vista del Signore, la spiegazione della croce, la sua collocazione nel piano dell’amor di Dio. Se Cristo passa attraverso il capitolo della passione e morte, è perché il volto di Dio si comprende meglio anche con questi connotati.

Il volto di Dio: noi lo rappresentiamo con una varietà di raffigurazioni, da quello dello splendore lucente del cielo, a quello dell’amore appassionato che non si rassegna a perdere le sue creature, a quello paterno e vigile di chi riaccoglie il figlio prodigo nella sua casa. Non ci viene spontaneo dire o pensare che il volto di Dio è lo stesso del crocifisso. Il Dio della croce ci appare una deformazione, una divinità “sfigurata”.

3. Per noi, per i discepoli che cos’è la croce? Con Pietro, anche noi ripetiamo a Gesù: «Ma tu vuoi salvare questa povera storia lasciandoti uccidere? Il mondo ha problemi enormi, bisogna risolverli; e tu pensi di farlo finendo in croce? Il mondo non sarà salvo per un crocifisso in più fra i milioni di crocifissi della storia. Usa altri mezzi, il potere, il miracolo, l’autorità».

Per metterci sulla strada giusta basta sostituire una parola. Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda su di sé tutto l’amore di cui è capace e mi segua.

Oppure ricordare quanto affermava addirittura Einstein, geniale anche in questa osservazione: «Il dramma del mondo non è che alcuni fanno il male, ma che la grande maggioranza non si oppone al male».