C’è un’affermazione di Gesù non facile da digerire (almeno da parte dei suoi ascoltatori): Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Essere un pane per gli altri non è solo un modo di dire: uno è un pane nel senso che dona conforto, una parola, un consiglio o una presenza… Queste sono esperienze buone che tutti possono fare. È quel “disceso dal cielo” che stenta a farsi accettare dagli interlocutori di Gesù. Il suo paese di nascita pare inconciliabile con la pretesa origine divina e discutono aspramente su questo, ne fanno una guerra, letteralmente.
Non accettano un Messia che manca dei tratti del re politico e offre semplicemente la Parola di Dio; non vedono una presenza divina priva di splendore e potenza che ha solo l’aspetto della storia comune: figlio del falegname di un villaggio.
Dopo aver scandalizzato gli ascoltatori dicendo di essere pane disceso dal cielo, Gesù non fa marcia indietro, ma rilancia (rincara la dose): Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. A questo punto si comprende l’opposizione che Gesù si tira addosso da parte di molti. È chiaro che non c’è solo la Parola da ascoltare, ma c’è un segno sacramentale che va insieme ed è inseparabile: c’è “carne e sangue”, c’è un “magiare e bere”. C’è un rito da fare e una memoria da ascoltare. Mangiare la carne, bere… equivale a condividere la vita di Gesù e a unirsi al suo progetto di vita. Il mangiare/bere non è solo un modo di dire, né un gesto facoltativo.
Molti hanno sempre pensato che incontrare Gesù sia un fatto spirituale e che importante sia solo ascoltare la Parola, ma Gesù parla proprio di carne e sangue, di mangiare e bere. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Nel rito eucaristico è l’intera vita di Gesù che trova la sua spiegazione. Gesù è colui che viene dal cielo. Gesù è colui che si offre per la vita del mondo. Sono due aspetti che definiscono la persona di Gesù e tutta la sua missione: è colui che viene dal Padre ed è colui che è pane per noi: è la nostra salvezza. I due aspetti definiscono anche il discepolo: ogni discepolo è un figlio di Dio a servizio dei fratelli.
I cristiani si ritrovano come discepoli e fratelli alla tavola di famiglia la domenica. Da questa poi si staccano rinfrancati per continuare sulle proprie strade. La tavola di famiglia chiede partecipazione vera: Parola e pane non siano solo assaggiati. Un pranzo non va solo annusato.
I figli di Dio mangiano alla tavola di famiglia perché ne hanno bisogno per la loro fame e anche per la fratellanza da rinsaldare. Forse hanno bisogno di dimenticare e farsi perdonare tante piccole cose. Se aspettano di essere perfetti e impeccabili per accostarsi alla tavola del Signore, non si avvicineranno mai.
La tavola di famiglia domenicale è il cuore della vita. C’è un movimento di sistole e diastole. Il sangue viene e va, prende ossigeno e lo porta ovunque c’è bisogno, perché se solo una piccola parte del corpo resta senza, muore.
È importante venire in chiesa ed è altrettanto importante uscire, perché il pane di Cristo è per la vita del mondo. Papa Francesco dice: “Non mi preoccupo di vedere quanti vengono in chiesa, ma di vedere come escono di chiesa”.
La processione del Corpus Domini quest’anno non può esser fatta, ma la processione vera la facciamo col nostro camminare, usciti di chiesa, lungo tutta la settimana… perché la Messa non è finita!