Fa emergere un sentimento di stupore, screziato di promessa e di esagerazione, l’ascoltare quello che fa il pastore nei confronti del suo gregge così come ce lo presenta la liturgia della IV domenica di Pasqua. Tre parole che sono tutto un programma: “dare la vita”. Espressione troppo breve per esaurirne la misteriosa attrattiva; troppo lunga per non avvertire un senso di sospensione e di attesa. Eppure il pastore del gregge, figura giovannea del Risorto, per amore questo lo fa: dà la vita e la riprende di nuovo – nemmeno semplicemente per sé stesso ma per volontà del Padre – in una continua e vincente opposizione contro ogni spregiudicato mercenario che della via delle pecore fa quello che è più sbrigativo – e apparentemente appagante -: della merce di scambio. La suggestione che l’azione vitale del “bel” pastore delle pecore continua a mettere in atto nel cuore dell’ascoltatore credente è il centro del particolare significato che, ormai da 58 anni, questa domenica assume per tutta la Chiesa nel rinnovare l’impegno di preghiera per tutte le “chiamate alla vita”, per tutte le vocazioni. Un vero e proprio impegno, quasi una lotta, contro lupi e mercenari. Ieri ed oggi. Forse molto più che in altri tempi, infatti, ci sentiamo interpellati da questo invito alla preghiera, in una perdurante situazione che rischia di consegnarsi in bocca ai lupi dell’incertezza, della preoccupazione, della fuga. O a svendere al prezzo ribassato della disillusione mercenaria quello che di più prezioso abbiamo: avere un orientamento per la vita. Inutile nascondere che come società, come Chiesa, come presbiterio, stiamo attraversando giorni di apprensione in cui davvero avvertiamo il bisogno di sentirci sostenuti dalla voce del Pastore e di continuare a seguire, contro ogni clamore contrario, quella chiamata alla promessa di un’esistenza che si rinnova solo attraverso il dono di sé stessa.
La circostanza che la liturgia ci offre ogni anno e la contingenza che abbiamo la ventura di attraversare in questo particolare 2021 danno alla giornata di preghiera per le vocazioni una connotazione che si radica intorno al nucleo del “dare la vita” in maniera ancora più forte grazie anche al messaggio che papa Francesco ci ha donato, incentrato sulla figura di San Giuseppe. Dedicando un intero anno di riflessione sulla sua figura, estremamente significativa per il cammino di fede di ciascuno, Francesco sottolinea come per quest’uomo giusto il sogno sia stato lo strumento privilegiato da Dio per chiamarlo a scegliere nella sua esistenza, e in quella di chi amava. Non certo in modo semplice o banale, ma anche per noi è un invito a continuare a sognare nell’ intelaiatura della vita ordinaria di tutti i giorni, per scoprire che, nella fede, qualcosa di straordinario arriva, sempre. Ma c’è qualcosa in più: Giuseppe, sposo di Maria, è stato padre; ha dato davvero la vita; ha amato, fino in fondo. In un tempo di liquefazione della figura del padre egli rappresenta la paternità nella maniera più intensa, non in chiave meramente biologica ma umana, pienamente umana, come capacità di generare alla vita con cuore libero di trasmettere… e di lasciare. Senza paura di cadere in eresia si può affermare come davvero attraverso di lui Gesù sia stato generato alla vita, gli sia stato figlio, e come la sua stessa chiamata di missione e di abbandono fino alla morte al Padre suo non sarebbe stata possibile se in vita non avesse avuto, anche lui, un padre tutto suo. La chiamata alla vita piena, la prima e più grande vocazione, passa infatti solo attraverso il cuore di padri e di madri che, come il pastore, hanno il coraggio di dare la vita per chi è loro affidato. Come ha fatto Giuseppe, sposo di Maria, patrono della Chiesa. È questo allora davvero il centro della preghiera che come comunità e singoli dobbiamo assumere in questo tempo di luce e di prova: abbiamo bisogno di padri, abbiamo bisogno di madri che generino vita e alla vita con semi di accoglienza, perdono, rilancio e promessa; abbiamo bisogno di comunità che generino alla vita con la buona notizia del vangelo, dell’accettazione reciproca, dell’accoglienza del diverso, del superamento del rimpianto di un passato che non c’è più; abbiamo bisogno – tutti! – di affidarci a un Padre buono che non fa mancare mai ciò di cui hanno bisogno di suoi figli. Per la nostra vita, per quella delle nostre famiglie e le comunità; per i giovani, per la nostra Chiesa diocesana, per il nostro presbiterio: non abbandoniamo il coraggio di chiedere questo.
Nonostante il frastornante ritmo di voci che si affastellano dentro e fuori di noi, per tanti aspetti stiamo attraversando da un anno a questa parte un tempo di profondo silenzio. San Giuseppe – che per tutto il vangelo non parla mai – ci aiuti a comprendere come anche il silenzio sia spazio fecondo se aperto al sogno, al dono, al servizio per chi, a imitazione del Pastore, impara ogni giorno a chiedere il dono di generare alla vita!
erredienne