Una storia da venerdì santo

La storia di un uomo, un altro Calvario

Quando la lettera di una legge, la Convenzione di Dublino, diventa il catino di Ponzio Pilato

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Nel nostro lavoro in casa di riposo incontriamo molti anziani e spesso abbiamo la fortuna di ascoltare le loro storie di vita, conoscere le loro famiglie, tessere relazioni che possano farli sentire come a casa loro. Molto spesso le loro storie si incontrano con le nostre e questo è un arricchimento tra generazioni e a volte anche culturale. Tutto ciò non sostituisce casa loro, ma li aiuta a sentirsi meno soli e più sicuri.

Oggi, però, non vogliamo parlarvi della storia di uno dei nostri anziani, ma di un nostro collega: Madhi. È un ragazzo afgano, lavora da tre anni presso la casa soggiorno di Santa Croce del Lago (Villa Don Gino Ceccon) ed è arrivato in Italia sei anni fa. Inizialmente, era stato assunto come addetto alle pulizie e poi ha frequentato il corso OSS ed ha iniziato svolgere questo lavoro.

Madhi è riuscito a inserirsi nel contesto di vita dell’Alpago, lavorando in modo professionale e creandosi dei legami di amicizia. È un ragazzo che si è rimboccato le maniche: ha studiato per svolgere il suo lavoro di OSS e pensiamo anche a come ci sia sempre grande penuria di personale nel settore sanitario e di quanto anche per questo motivo oltre fosse una risorsa per tutti noi. Ha dovuto imparare a capire anche il dialetto, oltre a studiare l’italiano e le abitudini e richieste dei nostri anziani. Si è inserito con i colleghi, ha potuto fare delle amicizie, prendere un appartamento in affitto. Non avendo la patente spesso ha fatto la strada per arrivare al lavoro a piedi (circa 4 km). Pensate che i carabinieri a volte lo cercavano, perché li aiutasse a fare da interprete con suoi conterranei che non capivano l’italiano: se non è aiuto questo!

In questi anni l’attesa è stata lunga rispetto al riconoscimento del permesso di soggiorno in Italia, ma la speranza e le aspettative erano alte. Non ha mai mollato e si è sempre dato tanto da fare!

Lunedì scorso 25 marzo 2024 è arrivata la risposta definitiva. In pochi giorni si deve organizzare e rientrare nel campo per profughi in cui era arrivato all’inizio in Germania.

Subito dopo Pasqua, grazie alla Convenzione di Dublino, Madhi sarà espatriato! Questo perché tale convenzione vieta che il richiedente asilo faccia questa richiesta in uno stato che non sia quello di arrivo, nel suo caso la Germania. Deve ricominciare tutto dall’inizio senza avere più alcuna certezza.

Noi come colleghi ci sentiamo increduli e sconcertati rispetto ai cavilli burocratici e alla risposta che Madhi ha ricevuto. Si parla tanto di sostenere e supportare le persone straniere nell’integrarsi nel nuovo contesto di vita, di fare rete, di costruire relazioni, dell’importanza della dignità e del rispetto della persona e poi si torna al punto di partenza, solo per far eseguire una legge con il  paraocchi.

Proviamo a metterci al suo posto una volta tanto. Immaginiamo di dover emigrare in un paese straniero perché non possiamo più stare a casa e di arrivare ad un buon equilibrio di vita ed inserimento in un nuovo paese. In un attimo, tutto ciò che abbiamo costruito, con fatica, ci viene tolto e ci mandano in un altro paese, ma non il nostro, bensì quello in cui siamo transitati e dobbiamo ricominciare tutto da capo.

Sinceramente siamo indignati. Come colleghi proviamo un senso di impotenza e vergogna quando incrociamo il suo sguardo in questi giorni. Ricordiamoci e ricordiamo a chi deve prendere queste decisioni che è solo per un soffio del destino che ci troviamo dall’altra parte.

Madhi si è integrato. Perché deve andare via? Chiediamo anche a tutti i vari servizi e istituzioni che si occupano di questo: che senso ha fare tutto questo lavoro, se poi in un attimo lo distruggiamo?

Lo sgomento è tanto, e sentiamo un profondo dispiacere.

Ci sentiamo in dovere e abbiamo il desiderio di mettere in luce la nostra incredulità rispetto a quanto è accaduto ad un nostro collega di lavoro.

E il pensiero va a tutti coloro che come lui possono subire lo stesso trattamento, solo perché non si trovano dalla parte “giusta” della Terra. Come se i confini geografici determinassero il valore di una persona o di una vita umana. Nessun uomo sulla Terra dovrebbe essere trattato come un pacco postale, sul quale apporre il timbro “Respinti”, tanto più se si è dato da fare per costruirsi una vita, senza compiere alcun tipo di reato!

Interroghiamoci davvero su quale sia il concetto di casa. I nostri anziani ce lo dicono tutti i giorni. La casa non è solo un posto dove dormo, mangio e vivo, ma è un posto che sento mio, che abbellisco a mio piacimento, dove c’è il calore di chi ti ama.

Parafrasando una frase di una canzone famosa di Galhi – «La strada non porta a casa, se la tua casa non sai qual è» – potremo dire che: tutte queste persone che noi spediamo indietro per una strada che loro non vogliono percorrere, non le porterà di certo a casa loro.

Perché non siamo liberi di cercare la nostra casa?

Barbara Donvito (psicologa) e Claudia De Nadal (educatrice)
a nome di tutti i colleghi di Villa don Ceccon Santa Croce