ESCI 2021 – I quattro sogni di San Giuseppe

I sogni di Giuseppe hanno portato avventure che mai avrebbe immaginato

Primo sogno: la promessa sposa Il primo sogno ha destabilizzato il suo fidanzamento con Maria e lo ha fatto padre di Gesù.

Giuseppe sogna Maria: le vuole così bene che la sogna anche di notte, la ama ancor più della sua discendenza, più della sua paternità e ancor più della legge. Giuseppe dice il suo sì in modo silenzioso, un sì fatto di azioni; è un sì a una realtà che non ha deciso lui. La legge lo obbligava a denunciare Maria come adultera e a farla lapidare. Giuseppe, grazie all’angelo che ha sognato, supera il formalismo ebraico, diventa critico sapiente della propria cultura e delle proprie tradizioni e trasmette questa autorevolezza a Gesù.

Tante volte, nella nostra vita, accadono avvenimenti di cui non comprendiamo il significato. La nostra prima reazione è spesso di delusione e ribellione. Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto possa apparire ai suoi occhi misterioso, egli lo accoglie, se ne assume la responsabilità e si riconcilia con la propria storia. Se non ci riconciliamo con la nostra storia, non riusciremo nemmeno a fare un passo successivo, perché rimarremo sempre in ostaggio delle nostre aspettative e delle conseguenti delusioni. La vita spirituale che Giuseppe ci mostra non è una via che spiega, ma una via che accoglie. Solo a partire da questa accoglienza, da questa riconciliazione, si può anche intuire una storia più grande, un significato più profondo. …Come Dio ha detto al nostro Santo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere» (Mt 1,20), sembra ripetere anche a noi: “Non abbiate paura!”. Occorre deporre la rabbia e la delusione e fare spazio, senza alcuna rassegnazione mondana ma con fortezza piena di speranza, a ciò che non abbiamo scelto eppure esiste. Accogliere così la vita ci introduce a un significato nascosto. La vita di ciascuno di noi può ripartire miracolosamente, se troviamo il coraggio di viverla secondo ciò che ci indica il Vangelo. E non importa se ormai tutto sembra aver preso una piega sbagliata e se alcune cose ormai sono irreversibili. Dio può far germogliare fiori tra le rocce. Anche se il nostro cuore ci rimprovera qualcosa, Egli «è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1 Gv 3,20).

In questo sogno, come anche negli altri di Giuseppe, il Signore non dice tante cose, ma dà una direzione e poi dice: “Adesso tocca a te, alla tua responsabilità, intelligenza, creatività…”. Il Signore illumina il primo passo: “Accetta Maria, prendila!”. Poi è stato Giuseppe con il suo amore a fare il resto. Questo il Signore chiede anche a ciascuno di noi; anche se non lo sogniamo di notte come Giuseppe, ci sono tanti segni nella nostra vita che ci mostrano il Signore presente: lui ci indica una direzione, poi sta a noi.

Secondo sogno: la fuga in Egitto

Il secondo sogno è quello che fa fuggire Giuseppe in Egitto e che ha salvato la vita della sua famiglia da Erode. Giuseppe parte, si mette in cammino. Ci sono tre parole che dovremmo scolpire nella nostra vita: 1) seguire un sogno; 2) custodire; 3) avviare un cammino. Dio ti dà una direzione, un po’ di luce per il primo passo. Qui entrano in gioco i talenti: tenacia, intelligenza, creatività. Giuseppe parte, ma tocca a lui studiare itinerari e riposi, misurare le forze. Il Signore non ti offre un manuale di istruzioni per l’uso, sta a te, alla tua libertà cercare. E poi stringere a sé, custodire. Se pensiamo: “Chi erano questi tre?”. Due ragazzi e un bambino, però in loro c’erano le sorti del mondo. In questa famiglia di profughi, di immigrati, si direbbe oggi, si è giocato il destino del mondo. Questo può servire anche a noi: non aspettiamoci tutto dal cielo. Il Signore ci dà questo talento, questo sogno. “Tocca a te…stringere le persone a cui vuoi bene, custodirle e poi metterti in cammino”.

A una lettura superficiale di questi racconti, si ha sempre l’impressione che il mondo sia in balia dei forti e dei potenti, ma la “buona notizia” del Vangelo sta nel far vedere come, nonostante la prepotenza e la violenza dei dominatori terreni, Dio trovi sempre il modo per realizzare il suo piano di salvezza. Anche la nostra vita a volte sembra in balia dei poteri forti, ma il Vangelo ci dice che ciò che conta, Dio riesce sempre a salvarlo, a condizione che usiamo lo stesso coraggio creativo del carpentiere di Nazaret, il quale sa trasformare un problema in un’opportunità anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza. Se certe volte Dio sembra non aiutarci, ciò non significa che ci abbia abbandonati, ma che si fida di noi, di quello che possiamo progettare, inventare, trovare. …Il Vangelo non dà informazioni riguardo al tempo in cui Maria e Giuseppe e il Bambino rimasero in Egitto. Certamente però avranno dovuto mangiare, trovare una casa, un lavoro. Non ci vuole molta immaginazione per colmare il silenzio del Vangelo a questo proposito. La santa Famiglia dovette affrontare problemi concreti come tutte le altre famiglie, come molti nostri fratelli migranti che ancora oggi rischiano la vita costretti dalle sventure e dalla fame. In questo senso, credo che San Giuseppe sia davvero uno speciale patrono per tutti coloro che devono lasciare la loro terra a causa delle guerre, dell’odio, della persecuzione e della miseria.

“Prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto”. Quanti lo fanno ancora anche oggi per salvarsi dai potenti e prepotenti! E le sorti del mondo, il nostro futuro sono forse anche lì.

Terzo e quarto sogno: sulla via del ritorno Il terzo e quarto sogno sono collegati.

Il terzo dice: “Alzati, ritorna in terra di Israele” e il quarto: “Torna, ma non a Betlemme, torna a Nazareth”. Questi sogni ci insegnano il coraggio di cambiare in corsa. Giuseppe era diretto a Betlemme, ma torna a Nazareth, nonostante la cattiva fama di quella cittadella (“Da Nazareth può mai uscire qualcosa di buono?)”. Giuseppe subito coglie l’attimo, non rimanda decisioni; cambiare in corsa, senza fossilizzarsi su vecchi schemi.

Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti. …Essere padri significa introdurre il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze. Forse per questo, accanto all’appellativo di padre, a Giuseppe la tradizione ha messo anche quello di “castissimo”. Non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici. Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare e di mettersi contro di Lui. La logica dell’amore è sempre una logica di libertà, e Giuseppe ha saputo amare in maniera straordinariamente libera. Non ha mai messo sé stesso al centro. Ha saputo decentrarsi, mettere al centro della sua vita Maria e Gesù. La felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé. Non si percepisce mai in quest’uomo frustrazione, ma solo fiducia. Il suo persistente silenzio non contempla lamentele ma sempre gesti concreti di fiducia. Il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto; rifiuta coloro che confondono autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione. Ogni vera vocazione nasce dal dono di sé, che è la maturazione del semplice sacrificio. …La paternità che rinuncia alla tentazione di vivere la vita dei figli spalanca sempre spazi all’inedito. Ogni figlio porta sempre con sé un mistero, un inedito che può essere rivelato solo con l’aiuto di un padre che rispetta la sua libertà. Un padre consapevole di completare la propria azione educativa e di vivere pienamente la paternità solo quando si è reso “inutile”, quando vede che il figlio diventa autonomo e cammina da solo sui sentieri della vita, quando si pone nella situazione di Giuseppe, il quale ha sempre saputo che quel Bambino non era suo, ma era stato semplicemente affidato alle sue cure. In fondo, è ciò che lascia intendere Gesù quando dice: «Non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste» (Mt 23,9).

28-08-2021