Accogliere, custodire, coltivare il mistero della vita

Omelia nel Natale del Signore – Concattedrale di Feltre
25-12-2023

Isaia 52,7-10; Sal 97 (98); Ebrei 1,1-6; Giovanni 1,1-18

Abbiamo vissuto giorni difficili: tutto ciò che è avvenuto in forza e in nome della violenza ci ha profondamente turbati, forse anche spaventati. Abbiamo visto l’irrazionale forza travolgente che si è abbattuta contro la vita. Ha avuto il sopravvento una sorta di sopraffazione che ha spiazzato la vita e ha cercato di annientarla, non solo in terre lontane, ma anche in territori vicini e conosciuti.

Non possiamo ignorare tutto questo, tantomeno abituarci a questo stato di cose.

Proprio per questo giunge la celebrazione del Natale. Ne abbiamo assoluto bisogno. Tutti nel nostro intimo percepiamo il bene della vita. Fin dal nostro nascere abbiamo ricevuto un’intonazione per cui la vita non può essere trascurata, ignorata, messa da parte o rubata e buttata via.

Quando siamo nati non eravamo consapevoli di ciò che stava avvenendo. Lì il nostro vivere è diventato un seme di vita piantato su questa nostra terra. Noi viviamo perché siamo venuti al mondo, a questo nostro mondo.

Nel vangelo di Luca – che abbiamo proclamato durante la messa nella notte – è raccontato di Maria, una giovane donna incinta, proveniente da Nazareth. Giunta a Betlemme si compiono «per lei i giorni del parto». Il racconto così la descrive: «Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia». Da questi fatti è nato il nostro Natale.

Oggi è necessario ricomprenderlo. Ieri un commentatore scriveva in un quotidiano: «Il Natale conserva un significato anche per i non credenti. Esso attesta la forza dell’Inizio. In un mondo che sembra abbandonato alla violenza, qualcosa di nuovo può iniziare. Anche nel buio della disperazione può aprirsi una speranza» (Roberto Esposito, in La Repubblica, 24-12-23, p. 36).

Come attesta il Vangelo di Giovanni appena proclamato, il “venire nel mondo” di colui a cui Giovanni Battista ha dato testimonianza – «Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me» – anche se non riconosciuto e spesso non accolto, è un inizio che avvalora «tutto ciò che esiste».

Il Vangelo, narrando la nascita del figlio primogenito di Maria, azzarda che anche Dio ha valicato la soglia del nascere per aprire tutta la promessa della vita nel mondo. Questo nostro mondo diventa così una grande storia di Dio: «Si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi».

Dunque ogni vita che nasce, ogni venire a questo mondo di un figlio, di una figlia, fanno sì che la vita ci sorprenda ogni volta, così da ricominciare e generare speranza. In questo mondo si può ancora gioire.

Betlemme racconta un’infinità di storie di vita e d’amore di questo mondo, le raccoglie da tutte le generazioni prima e dopo la nascita di Gesù. Non possiamo smettere di fidarci della vita, di tutta quanta, anche quella che sperimentiamo fragile e ferita, di quella esile degli inizi, come anche di quella che si spegne. Non possiamo non dedicarci alla vita in questo mondo.

La nascita del primogenito di Maria illumina la storia di questo mondo: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo».

Noi celebriamo il Natale per far sì che ogni nascita sia luminosa, nella convinzione – tanto più avvalorata dalla fede – che il mondo possa cambiare.

Giorno dopo giorno ci aiuteremo ad accogliere, custodire, coltivare il mistero della vita. Anche noi – ogni giorno – siamo consegnati alla vita. Per noi Dio, da cui ci sentiamo così tanto amati, ma che nessuno ha mai visto – come attesta il finale del Vangelo di oggi – è il “Dio della vita”. Così si è fatto raccontare dal bambino di Betlemme, nato da Maria.