Intervento alla Marcia per la Pace da Piazza Maggiore alla Concattedrale di Feltre
04-03-2022
- Se consideriamo chi si affida alla guerra per vincere, possiamo osservare due situazioni possibili:
- «Secondo la Torah è questo il solo il peccato umano davvero degno di questo nome: credere di essere Dio, assimilarsi a Dio, agire come se si fosse un Dio in terra» [Massimo Recalcati, La Repubblica 3-03-22, p. 33].
- «[…] l’ideologia del ritorno nostalgico alla Russia sovietica, a un nazionalismo imperialista che rifiuta il cammino della storia verso la democrazia» [Massimo Recalcati, La Repubblica 3-03-22, p. 33].
- Paradossalmente chi vuole la guerra non usa questa parola, che esprime tutta la negatività e la tragicità a cui si riferisce. Si preferisce definire tutto questo “operazione speciale”. Assurdo!
- E la vita dove sta? Non è, forse, da scegliere ogni giorno di vivere, con tutti quelli che si incontrano, che si conoscono e con i quali si cammina insieme?
- Mi ha molto colpito di recente papa Francesco quando ha detto: «Nell’immaginario universale, quello che conta è la guerra, la vendita delle armi». Papa Francesco lanciava in anticipo un allarme. Perché questa constatazione? La guerra è sempre possibile purtroppo, se noi non operiamo positivamente per il bene. La pace non è mai un’innocua tranquillità. È un dono da accogliere sempre, una responsabilità da assumere in continuità, una vigilanza da attivare in ogni fraintendimento, una consapevolezza mai scontata della preziosità di coloro con cui ci rapportiamo, una paziente gestione dei propri impulsi e emozioni, una cura minuziosa della storia e del pianeta. Tutto questo vale anche nei rapporti tra popoli diversi, tra stati, tra comunità… In particolare, poi, occorre liberarsi del peso di ogni forma di armi da guerra, di smetterla di commerciarle per arricchirsi in potere, in denaro, in rivendicazioni ideologiche.
- Nel racconto evangelico appena proclamato per ben otto volte Gesù ripete: «Beati…». Egli scende nelle profondità “divine” dell’umano, lì dove il Creatore ha lasciato la sua immagine e ha seminato il suo seme di vita. Lì sono piantati i germogli delle Beatitudini. Esse stanno nelle profondità di ogni uomo e donna, giovane o anziano che sia. Se desideriamo la vita vera, quella che esprime beatitudine, occorre scendere in profondità e dare respiro e luce a questi germogli. Ci imbatteremo con questa dinamica delle beatitudini. Occorre aiutarci a cercare tutti questo “cuore” che ci fa vivere. Anche la città che abitiamo può cercare, intravedere, far crescere un cuore di beatitudini. La vita di comunità ci è necessaria. Ci deve appassionare. Tutto questo disorienta la tentazione “guerriera” che si può accendere in noi, in tutti, in ciascuno con una miccia di arroganza, di violenza, di rivalsa, di prevaricazione, di eccesso di potere.
- La parola nuova a cui riferirsi è tanto antica: fraternità! Ha un contenuto nuovo da scoprire e su cui sperimentarci. Essa supera il significato di “fratellanza” che rimanda «al nascere accanto a un altro» caratterizzata dai «vincoli di sangue o etnici in cui si include il simile ed esclude il diverso». In tali rapporti può succedere che sorga la gelosia: «L’altro diventa un pericolo e un nemico da abbattere». Ed ecco, invece, il lievito nuovo della fraternità da cui lasciarci fermentare e da cui ricominciare: «È vero, la fraternità non si dà biologicamente, va costruita culturalmente, è un bene relazionale che il mercato non può produrre. Francesco l’ha rilanciata come un nuovo paradigma antropologico su cui ricostruire gesti e leggi perché “la fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza” [Fratelli tutti, n. 103]. Senza vergogna la si può solo accogliere come una “scelta d’amore” per cambiarsi e cambiare il (proprio) mondo» [Francesco Occhetta, L’Espresso 7, 19-12-2021].
Beati voi… fratelli e sorelle!