Alle soglie della Pasqua

Omelia nelle esequie di don Sisto Berton  - chiesa parrocchiale di Santa Giustina
29-01-2024

1Pt 1,3-9; Sal 118 (117); Gv 20,19-31

«La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo; ecco l’opera del Signore: una meraviglia ai nostri occhi». La preghiera del salmo ci porta alle soglie della Pasqua. Nella Prima Lettera di Pietro un canto di benedizione è innalzato a «Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo», poiché «nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti». È don Sisto a portarci in questo cuore della fede cristiana. Egli «avrebbe voluto realizzare la Pasqua di Cristo, prima in se stesso e poi negli altri». Così ha premurosamente lasciato scritto per noi: «Noi abbiamo la speranza viva nella risurrezione di Gesù Cristo: dobbiamo mantenere forte questa fede in tutta la nostra vita».

Un po’ ci sorprende questo esplicito radicamento pasquale della sua vita. Ma lui ce la svela come la verità più perseguita, come la chiave di volta del suo ministero. Il racconto evangelico proprio della II domenica di Pasqua che abbiamo ascoltato, l’ha espressamente scelto e indicato don Sisto per questa celebrazione delle sue esequie: «“Signore mio e Dio mio” è l’atto di fede che l’apostolo Tommaso fece a Gesù la domenica successiva alla Pasqua nel cenacolo. Questa preghiera è stata scelta come “motto” del mio sacerdozio». Poi ci confida di aver «ripetuto spesse volte questo atto di fede e di adorazione al momento della consacrazione della Messa e in tanti altri momenti della vita».

Forse non è così immediato riconoscere in don Sisto un “uomo di risurrezione”. Tante volte l’abbiamo visto totalmente preso da alcune convinzioni che ad ogni costo egli intendeva perseguire. Così è stato l’esercizio del suo ministero. Dinnanzi a obiettivi che si prefiggeva di raggiungere, niente lo poteva distogliere. Era nel suo temperamento non cedere alle prime difficoltà. Così egli ha scritto: «Le prove della vita, le sofferenze della vita, le gioie della vita devono essere vissute con la fede, con la speranza nella vita eterna, cioè nella risurrezione, e con la carità che è amore alla volontà di Dio, dedizione a ogni persona bisognosa». Ed ecco la sua ammissione – direi – “di fede”: «Non dimentichiamo che la prima persona bisognosa è ognuno di noi». Il giorno prima del suo transito alla pienezza della risurrezione di Cristo, mi è parso proprio così don Sisto. Non era in forza di parlare ma era a tratti vigile, apriva gli occhi e annuiva con un cenno del volto e della mano destra. Stava vivendo quello che aveva pensato di dire a noi: «Non dimentichiamo che la prima persona bisognosa è ognuno di noi». Quasi sempre nelle visite precedenti, ma anche a chiunque lo incontrava, don Sisto enunciava che sarebbe tornato a Santa Giustina, a casa, perché c’erano tante cose da fare. In quell’ultimo giorno don Sisto appariva arreso, ma sereno. In un cenno dopo la preghiera, è apparso totalmente disponibile a vivere fino in fondo il risorgere in Cristo, che lui ha inteso sempre annunciare nel ministero.

Ora la nostra preghiera è carica della consapevolezza delle battaglie della vita e del ministero che don Sisto ha affrontato, fin dalla sua fanciullezza quando egli è approdato dalla tanto amata Caorera – dove ha chiesto di essere sepolto accanto ai genitori e familiari, sotto lo sguardo della “Madonna del Piave” – al Cadore, dove ha svolto parte del suo ministero che poi si è esteso a tante parti del territorio della diocesi. Mi pare significativo riportare qui una sua riflessione a rigurdo: «Sia il sacerdote sia ogni cristiano sanno che la vita personale e la vita sociale e così anche la vita ecclesiale sono piene di prove e di dolori, ogni tanto ci sono le gioie, proprio come gli Atti degli apostoli descrivono la vita della Chiesa primitiva. Questa stessa storia è vissuta in ogni piccola o grande comunità ecclesiale, in ogni luogo e ogni tempo sia nelle persone dei sacerdoti sia nelle persone dei fedeli». E poi con estrema sincerità commenta: «Ognuno vorrebbe il suo parroco quale persona più santa e più ricca di doti e quindi che sia abile a far tutto e, di fatto, faccia tutto. Il parroco vorrebbe i propri fedeli santi così da affidarli a Dio per il Paradiso».

La sua considerazione finale è anche una consegna per noi, per la nostra Chiesa di Belluno-Feltre, per il nostro presbiterio, per le comunità che don Sisto ha servito: «La Chiesa si presenta peccatrice e santa: sempre rivolta al Paradiso. […] Quindi non fermiamoci a vedere solo ciò che nelle persone, nel mondo e nelle nostre comunità cristiane non va bene, perché un po’ di Paradiso c’è anche in questa terra». E si riferiva all’esperienza che i tre apostoli hanno fatto sul monte della Trasfigurazione di Gesù.

Grazie, don Sisto, che ci incoraggi a non fermarci su ciò che non va tra noi e per quel “po’ di Paradiso” che anche tu hai voluto condividere con noi, orientandoci a Cristo e alla sua piena manifestazione: «Voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la méta della vostra fede, cioè la salvezza».

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Alla Raccomandazione: «Il Paradiso è la casa della nostra famiglia. Là siamo attesi. In questo viaggio aiutiamoci per arrivare là dove siamo attesi con amore e dove saremo felici per sempre». [don Sisto]