Ci raggiunge il coraggio di Vittore e Corona

Omelia nella solennità dei santi Vittore e Corona – Feltre
14-05-2018

Ap 7,9-17; Sal 23 (24); Rm 5,1-5; Gv 15,18-21

Siamo riportati agli inizi della storia di fede a cui la popolazione del feltrino sente di appartenere. I santi Vittore e Corona ci fanno toccare le terre della Siria, oggi così flagellate da inspiegabili logiche di guerra. Il loro martirio ci immerge nel II secolo e ci fa percepire che il piccolo seme del Vangelo è già deposto in terra per marcire, scomporsi e poi germogliare.

Il coraggio del martirio di Vittore e Corona ci raggiunge nella nostra condizione di vita. Si tratta di una consegna a noi della loro fede. Sembrano suggerirci che esiste sempre nel vivere un motivo per cui spendersi, per cui avere fiducia e nutrire speranza, per cui dare qualcosa della nostra vita. Come la tradizione ci ricorda, Corona è presa dentro il coraggio di Vittore, da lei ammirato, per cui ne è attratta, fino a consegnarsi essa stessa in un atto d’amore.

Il nostro pellegrinare qui, oggi, assume questo significato. C’è una ragione di vita che non possiamo perdere. Chiediamoci: ma per quali motivazioni profonde noi viviamo? Questa vicendevole amicizia nel martirio tra Vittore e Corona ci spinge anche noi ad aiutarci reciprocamente – l’un l’altro – a tenere viva in noi una ragione di vita capace di dare sapore, gusto, senso al nostro vivere.

A volte ci perdiamo in discorsi inutili dove sembra che ognuno debba rivendicare la sua parte a scapito di altri. Incoraggiamoci sulle ragioni per cui vivere, per attrarci a vicenda.

La Parola di Gesù raccolta dall’evangelista Giovanni, nei cosiddetti “discorsi di addio” ci avverte di una opposizione reale con cui possiamo imbatterci ogni giorno. A volte la chiamiamo “lotta tra il bene e il male”. Spesso si presenta come un attentato a ciò che è giusto, vero, buono… Molte persone che hanno perseguito una ragione alta di vita e si sono battute per la giustizia, il bene, la convivenza nella pace hanno trovato, come dice Gesù, “persecuzione”. Potremmo raccontare molto a riguarda anche di ciò che sta capitando ai nostri giorni.

Ma la Parola di Gesù giunge come particolare invito a coloro che si dichiarano cristiani, a noi. Non sono le dichiarazioni altosonanti o i certificati che ci iniziano sulla via dell’essere discepoli di Gesù, ma la disponibilità quotidiana a immetterci sulle sue orme.

È commovente quello che ci dice Gesù: «Ricordatevi della parola che io vi ho detto: “Un servo non è più grande del suo padrone”». È una chiamata a cercare come ragione della nostra vita il suo Vangelo, lui stesso, il suo dono di vita. Poi ci incoraggia a non mollare: «Se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra».

I santi Vittore e Corona testimoniano che il Vangelo di Gesù è una promessa e un futuro per una umanità risanata e capace di dare frutto.

Ecco la promessa su cui ancora rinnovare la nostra scelta di vivere: «l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».

Carissimi, ecco ciò che oggi riceviamo come parola buona da portare nel cuore, come invito per il nostro cammino di vita, seppure a volte faticoso e contrastato; ce lo offre l’apostolo Paolo:

«Giustificati dunque per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio».