Sotto la croce ritroviamo noi stessi

Omelia -  Processione della S. Spina - Cattedrale di Belluno
30-03-2018

La professione di fede della lettera agli Ebrei confessa che Gesù, Figlio di Dio – lo chiama “sommo sacerdote” – sa «prendere parte alle nostre debolezze». E ribadisce: «Egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato».

Siamo qui per queste nostre debolezze. Le portiamo nella nostra carne. Le età della vita sempre più sono il luogo dove le sperimentiamo nei risvolti più concreti che esse provocano. Queste debolezze le portiamo nel cuore: nei nostri affetti, nelle nostre relazioni. È l’aspetto più destabilizzante che arreca tanta insicurezza nella vita. Il trovarsi soli ci porta ad un senso di abbandono che produce in noi un senso di fallimento e di inutilità esistenziale. La nostra vita sociale è attraversata da tali debolezze: ci si trova inermi e sopraffatti, ovunque nell’esperienza umana.

Ecco Gesù, nel venerdì santo, prende parte a tutto questo. È la prima contemplazione che questa sera facciamo sotto la croce che veneriamo. Gesù entra totalmente nelle nostre debolezze.

Il segno della spina – a cui è rivolta la nostra attenzione in questa manifestazione di preghiera e di devozione – esprime la concretezza e la consistenza delle debolezze umane che Gesù, il Figlio di Dio, persona umana come noi, conosce e attraversa.

La croce è il segno dove conosciamo questo inaspettato stile di Dio. È la sua scelta d’amore. Cercare Dio è per noi entrare nella verità e nella concretezza delle nostre debolezze. Dio, in Cristo Gesù, ci ha incontrati in questa condizione. C’è debolezza anche nel nostro incontro con Lui. Potremmo raccontarci molto su questo aspetto dell’esperienza di fede.

Ci rappresenta quel padre che per il proprio figlio, in balia delle forze del male, chiede a Gesù: «Se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». Egli, poi, affidandosi a Gesù dice: «Credo; aiuta la mia incredulità (Mc 9,24). È questo anche il grido della nostra fede.

Questa debolezza esistenziale a cui Cristo si è dato e che ha condiviso con ogni uomo e donna è un travaglio di verità e di libertà per noi.

Sotto la croce ritroviamo noi stessi. Sulle orme di Gesù e con lui, abbiamo accesso alla nostra vera umanità.

La debolezza che Gesù porta su di sé appare pienamente quando viene innalzato sulla croce. Lo racconta l’evangelista Giovanni. C’è una madre e un discepolo. Gesù sembra trasformare tutto in un parto nuovo. C’è una maternità che dà inizio ad una vita nuova: «Donna, ecco tuo figlio!» e al discepolo: «Ecco tua madre». Un grande atto d’amore “è compiuto” nella più grande debolezza. Poco dopo Gesù appare con il fianco aperto da una lancia, da cui esce sangue ed acqua.

Tutto sembra come prima, ma l’evangelista richiama una profezia e apre così una possibilità nuova: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».

Eccoci qui stasera ad aprire ancora il nostro sguardo su questo parto di vita, di grazia, di amore a cui siamo chiamati, pur nella fragilità della condizione in cui viviamo: «Credo; aiuta la mia incredulità!».