È stato un amico, un amico sincero

Nelle esequie di don Francesco Silvestri
01-09-2021

1Ts  2,1-8.19; Sal 138 (139); Lc 10,25-37

Don Francesco è stato un amico, un amico sincero. Per questo portiamo nel cuore il fragore del turbine per il quale abbiamo pregato alle lodi, stamane, con il salmo 76: «Un canto nella notte mi ritorna nel cuore: […] il mio spirito si va interrogando. […] È forse cessato per sempre il suo amore [di Dio], è finita la sua promessa per sempre?». Il salmo si avvicina al mistero indicibile di Dio e ci ha fatto pregare così: «Sul mare passava la tua via, i tuoi sentieri sulle grandi acque e le tue orme rimasero invisibili».

Sì, è passata la via di Dio, i suoi sentieri hanno attraversato la vita e la persona amabile di don Francesco, ma anche i nostri legami con lui. Per noi le orme di Dio restano invisibili; don Francesco, invece, in questa ultima stagione di vita, le ha riconosciute, le ha guardate, le ha provate e si è lasciato immettere in esse. Ora, nell’invisibilità per noi, lui è sulla scia di Dio.

Noi non possiamo tacere quello che abbiamo ricevuto da lui. Con Paolo, che abbiamo ascoltato nella prima lettura, riconosciamo – ammirati e grati – che “la venuta di don Francesco in mezzo a noi non è stata inutile”; «in mezzo a molte lotte» ha «trovato nel nostro Dio il coraggio di annunciarci il Vangelo di Dio». Ci ha testimoniato, mostrandolo sulla sua pelle ancora giovane e affabile, che il Vangelo di Dio è “affetto” ed è “vita”.

Caro don Francesco, la Parola che abbiamo ascoltato sta dipingendo davanti ai nostri occhi, bagnati dalle lacrime della grazia, la tua immagine che porta quella di Dio, ci sta consegnando la verità più profonda di te: «Affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari».

Ora vogliamo dirtelo noi tutti, in particolare le tue sorelle che hanno condiviso tutto con te in questi mesi, i tuoi confratelli preti: la tua vita ci è stata donata e in essa il Vangelo di Dio. Lo raccontiamo noi a Dio per il quale «la notte è luminosa come il giorno e le tenebre sono come luce».

Ieri sera ho raccolto dalla comunità delle monache di Pennabilli un riflesso di questa luce, che rende luminosa la notte del dolore da te attraversato con indomita attesa del Signore. Mi hanno detto: in tutto questo tempo di disarmato affidamento è avvenuto il compiersi di un uomo, la sua umanità è giunta al frutto maturo. Non possiamo non ricorrere alle parole con cui la lettera agli Ebrei ci mostra il Cristo in tutto solidale con noi: «Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì».

Don Francesco, ha imparato la vita, ha imparato le persone e le comunità che ha incontrato, ha imparato il mistero d’amore che la Croce custodisce. Ha potuto apprendere e donare un ascolto intelligente e puntualmente critico, avvicinando tante situazioni di vita. Ha saputo farsi carico delle oscurità altrui così come, con sincerità e coraggio, ha portato le proprie. La sua vicenda è fatta di tanti inizi, dove vincendo l’intonazione rocciosa del suo spirito cadorino, ha cercato e donato accondiscendenza e tenerezza.

Nell’ultimo incontro avuto con lui – qualche giorno prima dell’assopimento degli ultimi giorni – don Francesco cercava di ricomprendere la sua vicenda umana e di credente. Ad un certo punto mi colpì un suo sorriso che sembrava un abbraccio di evangelica gioia, di vitale abbandono, di infinito stupore. Avvenne semplicemente perché gli accennavo ai semi di bene che aveva ricevuto e che lui ha seminato ovunque. L’affetto di voi tutti ne è segno. Mi è stato scritto, in un messaggio ricevuto in questi giorni: «È passato tra noi lasciando una scia luminosa di bontà». Nel dialogo con lui aggiungevo: Dio riconosce il bene e non può non dare compimento ad esso, anche adesso. Mi disse sorpreso: «Davvero?». Davvero, don Francesco! Aiutaci ora a lasciarci sorprendere noi da Dio.

Tra i segni accanto al corpo di Francesco che onoriamo, vi è il dipinto che è stato dinnanzi alla sua contemplazione in questo ultimo tempo. L’ha dipinto suor Elena del monastero di Pennabilli in vista dei giorni di fraternità e di formazione per il presbiterio. In realtà il vero autore è don Francesco. Le vicende della pandemia hanno fatto sì che la preparazione di quei giorni si sia protratta per oltre un anno. La parabola del Buon Samaritano aveva ispirato una figura con cui ricomprendere il ministero e su cui intendevamo confrontarci: il “guaritore ferito”. Don Francesco era coinvolto intensamente e sembrava che volesse indagare una verità ulteriore che lo riguardava e che lui stava incarnando.

Oggi, don Francesco, in Cristo, il Crocifisso Risorto, ci mostri l’icona da te vissuta del “Buon Samaritano”, il “guaritore ferito” che sa donare «olio della consolazione e vino della speranza».

Ora, don Francesco, aiuta noi tutti a imparare l’obbedienza del “farsi prossimo”, a comprendere più profondamente la nostra verità per scoprirci e vivere da “mendicanti d’amore”, da “guaritori feriti”.

 

Introduzione all’Eucaristia
dalla lettera di don Francesco al presbiterio (dal Santuario del Nevegal, 16 novembre 2020)

Carissimi fratelli, queste righe sono l’unico modo che ho, al momento, per farvi giungere sensibilmente il mio grazie per la vostra vicinanza in questi lunghi mesi di malattia. I molti segnali di presenza, incoraggiamento e affetto giuntimi da molti di voi, mi hanno davvero dato forza e consolato, facendomi fare un’autentica esperienza di fraternità e di bene, a partire dall’ospitalità generosa e piena di affetto dei preti e delle suore di questo Santuario da cui scrivo. Grazie di cuore!

 

Lettera a don Cesare e a don Renato (16 giugno 2020)

«Una vita sacerdotale come quella che abbiamo vissuto nei sette-mesi-meno-tre-giorni tra le comunità della Conca mi sembra la cosa più sana, bella, oso dire evangelica che un prete possa mai sperare di vivere».