Festa dell’Addolorata 2019

Intervento alla festa votiva
07-04-2019

In questa circostanza così singolare per la nostra Città e così partecipata dalla popolazione sentiamo l’appello che ci giunge dalla tradizione carica di senso civile e di sentimento di fede rappresentata dall’immagine dell’Addolorata.

Chissà quante persone, quante donne soprattutto, hanno riconosciuto nei tratti e nei simboli che caratterizzano l’Addolorata – le spade che trafiggono il cuore – un segno delle proprie condizioni.

La domanda è immediata e intrigante: ma lo sentiamo il dolore altrui? Ci accorgiamo delle ferite di chi ci vive accanto? E ancora: nelle nostre comunità ci ignoriamo a vicenda, specie lì dove c’è solitudine, emarginazione, abbandono?

Siamo capaci di empatia gli uni per gli altri? Essa comporta il “sentire” l’altrui persona, qualsiasi sia la sua condizione civile, culturale, giuridica, religiosa, morale…

L’Addolorata è diventata un “simbolo universale” di partecipazione all’altrui dolore.

Questa sua immagine – con il ripugnante segno delle spade che penetrano nel torace dove c’è il respiro, dove pulsa la vita e hanno sede simbolica gli affetti – è stata portata per le vie delle nostre abitazioni. Questo suo incedere sulle nostre strade è sembrato sfidare la nostra tiepidezza di cuore, la nostra fretta e insensibilità alla sofferenza altrui, il nostro non vedere e non sentire…

Aiutiamoci a non sfuggire da questa considerazione di amore disinteressato, di delicatezza d’animo, di libertà e coraggio che ci inducono ad accostare ogni forma di male inflitto e sofferto.

A chi sa aprire il proprio cuore l’immagine dell’Addolorata sembra svelare la bellezza della vita, la tenerezza di gesti e parole che sanno riconoscere la fragilità, la precarietà e le ferite altrui.

Sì, siamo tutti sfidati da questa dinamica dell’empatia, di sentire l’altro, ogni altro e di sentire, in particolare, il suo soffrire.

Tutti siamo interpellati: persone, famiglie, comunità ecclesiali, associazioni, comunità civili, aggregazioni, istituzioni…

Chi tra noi assume responsabilità e svolge un ruolo di autorità è, in particolare, chiamato a tale “empatia”, a sentire l’altro, al plurale, nella dimensione pubblica e nel risvolto sociale e comunitario.

Non è da ignorare il fatto che, nell’anti-vigilia di questa ricorrenza dell’Addolorata, un piccolo gruppo di persone hanno dato l’ultimo saluto ai resti mortali di Giancarlo Bigi, nostro concittadino, viveva sulla riva sinistra del Piave. La stampa ne aveva dato notizia: probabilmente morto agli inizi di dicembre. Lo descrive così un amico: «Nato a Belluno il 20 maggio 1950, era un uomo molto intelligente, era un artista (un pittore) il quale, deluso dagli uomini e dalla cultura dominante, come pure dalle illusioni del successo economico, aveva scelto una vita povera, essenziale, a diretto contatto con la natura e in compagnia di alcuni cani».

Il suo corpo rimase in balia delle intemperie del tempo e degli animali che gli erano stati di compagnia. Finalmente, venerdì scorso, si è potuto fare un gesto di pietà e di dignità ai resti mortali.

Anche questa vicenda è inscritta nell’immagine dell’Addolorata.

Oggi nelle nostre chiese è risuonato un detto di Gesù, una potente e inquietante sua parola: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». L’evangelista Giovanni narra che chi l’accusava se ne andò «uno per uno, cominciando dai più anziani».

Gesù, invece, nel dialogo con quella donna pronuncia la parola della vita e della dignità di ogni persona umana: «Allora Gesù si alzò e le disse: “Donna dove sono? Nessuno ti ha condannata?” Ed ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”».

Sì, dobbiamo metterci su questa strada del sentire il dolore altrui, del metterci dalla sua parte, dell’attivare la sua liberazione, di riconsegnargli la dignità di persona amata. Insomma rimetterlo in piedi nella sua umanità. Ecco la strada che apre a noi l’Addolorata.