Misera et misericordia

Ai vescovi del Triveneto - Lectio di Gv 8,1-11
08-04-2019

 

Mi è sembrato opportuno ritornare su questa narrazione evangelica di Gv 8,1-11, come lampada che illumina i passi di questa settimana. Si può collegare direttamente al nostro incontrarci qui.

Che cosa potrebbe suggerire lo Spirito a noi vescovi? Che cosa il Signore potrebbe dirci ancora, dopo che questa stessa parola abbiamo cercato di spezzarla nelle assemblee eucaristiche che abbiamo presieduto nella V domenica di Quaresima?

La narrazione dell’episodio della donna sorpresa in adulterio e portata davanti a Gesù per un certo periodo è come se fosse stata perduta. C’è chi ritiene che sia stata una scelta voluta, quindi con delle ragioni. Succede spesso nelle diatribe di Chiesa. Ci sono delle conflittualità irrisolte nella vita della Chiesa che continuamente ritornano seppure in forma diversa. Ma la sostanza è la stessa. Allora fioccano le condanne di parte. Si vuole a tutti i costi trovare un motivo di autogiustificazione e si strumentalizza l’altrui pensiero. Un esempio è anche il nostro episodio. Qui potrebbe sembrare che Gesù apra una porta alla possibilità dell’adulterio, come se stesse giustificando le donne che si comportano così. Il racconto si presta.

Agli inizi, tra i primi esercizi di convivenza tra Chiese diverse, ci furono Chiese che tralasciarono questo racconto. Nel IV secolo Girolamo dice di averlo trovato in alcuni manoscritti greci e latini. L’inserzione del racconto nel IV vangelo potrebbe risalire alla fine del III secolo. Nella Volgata (fine IV secolo) c’è. In manoscritti più recenti, il brano è collocato dopo Lc 21,37, o in appendice a Gv.

È curioso: la prima menzione dell’episodio si trova nella Didaskalia (documento ecclesiastico siriano del III secolo che fa parte delle Constitutiones Apostolorum). Questo documento lo cita per esortare i vescovi alla clemenza verso i peccatori.

È da porsi una prima domanda: con quale autorità noi possiamo mettere al silenziatore un racconto così? Perché la parola di Dio può restare imbrigliata nelle nostre mani? Come invece è possibile lasciare che la Parola di Dio compia la sua corsa? Quali sono i luoghi e le forme del nostro discernimento per non lasciarla cadere in oblio?

C’è chi sostiene che la sua collocazione naturale sarebbe nel Vangelo di Luca dopo il versetto 21,38. È interessante: Gesù, alla fine del capitolo 20 di Luca, mette a nudo l’ipocrisia di alcuni farisei e loda il gesto di una «vedova povera» che offre nel tesoro del tempio due monetine soltanto, ma era «tutto quello che aveva per vivere».

Al capitolo 21 di Luca si svolge il cosiddetto “discorso sugli ultimi tempi”. Al v. 37 si dice che Gesù «durante il giorno insegnava nel tempio» poi «usciva e pernottava all’aperto sul monte degli Ulivi». Al v. 38 si dice che «tutto il popolo di buon mattino andava da lui nel tempio per ascoltarlo».

Al capitolo 22 inizia il racconto della passione, morte e risurrezione di Gesù.

Il nostro racconto di Gesù con la donna adultera sarebbe stato l’ultimo racconto di un incontro decisivo di Gesù, prima di entrare nei fatti della passione. Se l’ultimo, potremmo dire “l’estremo”; forse “l’apice” che raccoglie quanto lo aveva preceduto. Qui la sua missione esplode, si manifesta e giunge alla maturazione della passione.

Gesù è nel tempio. È lì assiso per insegnare. Il momento è solenne. Si concentrano lì Mosè e la Legge. Compare «una donna sorpresa in adulterio». Sembra prendere il posto di «tutto il popolo che andava da lui».

Mi colpiscono questi aspetti. Mi chiedo se non assuma un valore di alta portata simbolica quella donna. Chi rappresenta?

La figura femminile in Gv ha connotati molto ecclesiologici, con diverse sfumature. La stessa Maria, madre di Gesù, da Cana a sotto la croce, indica una figura ecclesiale che sta emergendo, sta esercitandosi in maternità e proprio nel suo rapporto stretto con il Figlio. Succede spesso nei racconti evangelici, direi in particolare nell’incontro di Gesù con le donne.

Lo scorso anno nelle settimane di formazione per i preti della diocesi abbiamo costruito le giornate su un racconto decisivo nel vangelo di Mc 7,24-30 e di Mt 15,21-28: Gesù incontra la donna cananea (siro-fenicia per Mc) nei territori di Tiro e Sidone, tra la prima e la seconda moltiplicazione dei pani. Dopo questo incontro Gesù mostra la consapevolezza che il Regno di Dio da Lui annunciato deve valicare i confini ristretti dell’antico popolo di Dio.

Cos’è capitato? L’attenzione va sulla figlia di quella donna, in balia delle forze del Maligno. Quella bambina sembra diventare una “figura cristologica”.

Al detto della madre e sulla sua insistenza, anche i cagnolini si nutrono delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni. Gesù, per l’insistenza della madre che non molla sulla dimensione della vita e della sopravvivenza di sua figlia, sembra immergersi proprio nella figura della figlia in balia dello spirito impuro che la possedeva. Si identifica con essa,  prende la sua parte che le rappresenta quello che anch’egli starebbe per attraversare. Lo attendono le potenze del male…

Nel suo ritrovarsi nelle condizioni di quella figlia, Gesù apre i confini del Regno di Dio da lui annunciato e portato. Egli sente che sempre più, nella sua stessa vicenda di Figlio di Dio, si dilatano i confini del Regno di Dio. Egli si identifica con ogni figlio di questa umanità. La morte in croce segna definitivamente questa dilatazione universale.

In questo sviluppo narrativo ci accorgiamo che in questione è Dio stesso e, dunque, la sua immagine. Mi è piaciuta questa interpretazione dell’incontro tra un Gesù che aveva la voglia di riposarsi e la richiesta insistente di quella mamma: «Quando c’è di mezzo Dio si valicano tante soglie. Per prima la donna pagana ha valicato la soglia della casa dove stava Gesù per riposarsi…». Di fronte alla tensione con il male, allo scontro con la potenza del Maligno compare in Gesù la tentazione già annunciata e già sperimentata. La tentazione è forte: c’è in causa la sopravvivenza di una figlia, una bambina e l’amore di Dio che Gesù svela come Padre misericordioso.

Torniamo al nostro racconto. Nel suo stare lì assiso ad insegnare ed avere davanti a sé la donna sorpresa in adulterio, Gesù percepisce che in lei sono in gioco le dimensioni del Regno annunciato, dell’anno di grazia promulgato, del Vangelo promesso ai poveri…

In quella donna Gesù vede profilarsi i contorni della sua Chiesa. Forse l’antica espressione dei Padri di “casta meretrix” può aiutarci…

Vorrei insistere ulteriormente: è possibile che Gesù nel mentre percepisce che è in gioco tutto della sua vita e del suo annuncio in quella donna e nel suo rapporto con gli scribi e i farisei che gliel’avevano condotta e posta in mezzo. In nome di Mosè e della Legge è Gesù stesso ad essere messo alla prova. Se immaginiamo il racconto collocato tra il discorso escatologico di Gesù in Lc e il racconto della sua passione, è possibile – nella consapevolezza di Gesù – che la messa alla prova sia un anticipo dell’ultima tentazione già preannunciata dal Tentatore.

Alcuni dati del racconto sembrano indicare che il racconto va ben oltre le contingenze dell’episodio.

La nota dell’evangelista è emblematica: «Dicevano questo per metterlo alla prova e per motivo di accusarlo».

Con quella donna, dunque, è in questione Gesù, la sua credibilità, il suo Vangelo, la sua missione. Ma più ancora è in questione Dio, il cui volto Gesù aveva raccontato e manifestato con tutta la sua vita. È l’immagine stessa di Dio che è messa alla prova.

In quella donna posta così davanti a Lui e con lui a Mosè e alla Legge si gioca la partita di Dio.

I commentatori evidenziano il modo sommario e incompleto di citare la Legge da parte dei farisei e degli scribi. Anche la donna, dunque, è strumentalizzata. Molto si potrebbe dire a riguardo. Un certo esercizio di potere maschilista spunta ovunque in queste contese.

Gesù scrive «col dito per terra». Questo gesto profetico ha molte interpretazioni. Qualcuno evoca il dito di Dio con cui dinanzi a Mosè sono scritte le tavole dell’Alleanza. C’è la terra, luogo della vita umana, dove si gioca la partita della vita.

Quello scrivere di Gesù e quel tempo di silenzio che precede la sua prima presa di posizione, possono significare un allargamento di confini del Regno. Gesù vede la questione nel suo risvolto teologico. Dio suo padre qui è in gioco.

E, paradossalmente, si gioca nel vissuto povero, fragile, precario e peccaminoso di quella donna.

Penso che un senso di stupore profondo sia da liberare in noi. Gesù ha fatto conoscere un Dio così!

Se, poi, da questa soglia che Gesù valica e che si apre sulla sconfinata misericordia di Dio, guardiamo al comportarsi di Gesù nel caso concreto del rapporto con quella donna, ritroviamo noi stessi come sua Chiesa. E potremmo anche riconoscere in quella donna una figura di Chiesa molto attuale, nelle prove di oggi, nella tentazione di questo tempo.

Le parole di Gesù sembrano dette a compimento di Mosè e della Legge: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, Gesù, inchinato davanti a lei, riprende a scrivere per terra.

Siamo spesso come Chiesa in questo passaggio. Immagino che Gesù abbia potuto accompagnare quell’andarsene «uno per uno, cominciando dai più anziani». È un camminare sanante. È un tempo che perdura nell’oggi della Chiesa per ritrovare il suo essere al seguito di Gesù. È una scelta e uno stile che possono farci abbandonare l’intento sottile e nascosto di mettere alla prova Gesù. Gesù ha potuto così salvare anche gli “accusatori”…

Probabilmente c’è qualcosa che tocca il nostro vissuto e ministero di vescovi, anche. Ci sono aspetti del vissuto ecclesiale che possono essere riletti in ciò che in questo episodio sta succedendo.

 «Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo». Gesù, a questo punto, è il solo che può giudicare quella donna. Potremmo dire: è il solo che potrebbe avere le ragioni per condannarla.

Cosa succede? Gesù porta per davvero all’estremo la messa alla prova. Il Padre suo può capitolare, qui, in questi frangenti. La questione di Dio si gioca in quella esistenza “misera” di donna.

Scrive Agostino: «Relicti sunt duo, misera et misericordia (In Iohannis evangelium 33.5, rec. Augustin Mayer, CCL 36, Turnholt 1954, 309); Remansit solus et sola; remansit Creator et creatura; remansit miseria et misericordia; remansit quae suum reatum agnoscebat, et qui peccatum dimittebat (Sermo 16/A.5, rec. Cyrille Lambot, CCL 41, Turnhout 1961, 221)».

Il coinvolgimento della donna è fatto da Gesù, dopo la sua scelta di posizionarsi dalla parte della donna, per non condannare neppure gli accusatori di lei, ma per aprire una nuova via.

«Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?».

Lei risponde entrando nella domanda di Gesù: «Nessuno, Signore». C’è una conoscenza a cui lei è pervenuta solo perché Gesù ha operato e parlato.

Alla fine le parole di Gesù rappresentano la parola che rimane di Dio, del Padre suo. Possono essere l’eco delle parole che vennero dal cielo su Gesù battezzato al Giordano da Giovanni: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Lc 3,22).

Alcuni autori sottolineano questa finale aperta del racconto. Che, poi, sarà successo? Anche nella parabola del Padre che riaccoglie i due figli in casa, c’è un finale simile: non sappiamo il proseguo.

Forse è giusto così… La Parola ascoltata non è un finale chiuso, ma aperto…

Dove ci posizioniamo come Chiesa di Gesù?

Qualche autore sottolinea che in questa parola finale di Gesù, non vediamo ancora una chiamata particolare e, dunque, un legame speciale della donna con Gesù. Sembra ci sia qualcosa di più essenziale che poi potrebbe avere ulteriori risvolti e sviluppi. Ma in quel punto ci è partecipata la Pasqua di Gesù: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

 Mi ritornano alcune domande a partire da questa Lectio.

L’oggi della Chiesa, ma anche l’oggi dell’umanità sono una domanda.

  • Come ci troviamo in rapporto a questa donna del racconto di Gv 8,1-8?
  • Che cosa questa parola ci sta dicendo? Forse che oggi più che mai ci sono delle soglie da valicare per non restare imbrigliati nel nostro stesso vivere che non è escluso sia peccaminoso…
  • Siamo tremendamente provocati nella vita pastorale, su tutti i fronti, anche interni: la stiamo perdendo questa altra via che Gesù ha scelto?
  • È davvero la questione di Dio – non semplicemente della sua rappresentazione precedente in noi, ma quella a cui anche Gesù si è aperto – su cui ci stiamo esponendo?
  • Gesù porta agli estremi la parola della Legge: che cosa rappresenta per noi? E quella donna “misera” come dice Agostino rimasta sola con la “misericordia”, quando la incontriamo? La riscontriamo in noi, nel nostro stesso ministero, nei nostri preti e nel rapporto con loro? E, poi, in questo contesto indefinibile in cui viviamo?
  • Il coraggio di Gesù con la questione enorme e decisiva di Dio si traduce in una “parresia” pastorale che non condanna, non mette a morte, non lapida, ma apre un cammino?
  • Quando noi siamo rappresentabili in quella donna, come siamo come Chiesa, anzi anche come vescovi?