È trascorso un anno da quando – il 29 marzo 2020 – abbiamo avuto davanti ai nostri occhi l’immagine dell’Addolorata che rifletteva scene di un muto dolore che si era scatenato con l’inizio della pandemia. Oggi siamo qui ancora portando quel dolore, seppure in un contesto diverso poiché sembra andare verso un approdo di atteso arresto dei contagi. Oggi abbiamo, però, ancora aperta la ferita per le persone care che ci hanno lasciato senza il saluto finale, senza le ultime cure dei nostri affetti familiari e delle nostre amicizie; anche in questi ultimi giorni.
L’Addolorata per noi, in questo tempo, non è, dunque, un’immagine antica, non è un’evocazione di devozioni passate, non rappresenta un dolorismo che non ci interpreta più. L’Addolorata è un racconto vissuto e sofferto – dunque, vero e reale – intriso di passione e amore, di tutto ciò che nella nostra vita invoca, attende e cerca salvezza. Possiamo ritrovare questo racconto, che raccoglie tanta parte della nostra vicenda umana, anche nella narrazione del Vangelo di oggi. Gesù, in risposta alla richiesta dei due discepoli Andrea e Filippo, confida loro: «Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora!».
C’è un dolore che turba, lo confida Gesù stesso. La nostra immagine dell’Addolorata, su ispirazione della profezia dell’anziano Simeone: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima», manifesta tale turbamento nelle sette spade inflitte nel cuore. È un dolore che conosciamo. Anche Gesù lo ha attraversato. La Lettera agli Ebrei ci ha avvertito: «Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì». Potremmo aprire mille di queste narrazioni per ciò che è avvenuto in questo anno di pandemia. Non solo: allargando lo sguardo riconosciamo altre situazioni di stenti, di guerriglia, di sopraffazione e violenza, di sfruttamento, di emarginazione e di indifferenza, persino di fame, in tutto il mondo. L’Addolorata incarna un’umanità che ha il coraggio di guardare, di riconoscere, di sentirsi coinvolta in questa condizione di dolore e turbamento.
Sì, anche noi necessitiamo di maggior coraggio di fronte a queste situazioni di umanità ferita e incompiuta. Spesso le nostre ragioni, i nostri interessi, le nostre parole, i nostri gesti, le nostre scelte tradiscono questo non voler vedere.
Intendo così la richiesta inaspettata di alcuni che non erano della cerchia dei discepoli di Gesù e che l’evangelista definisce “Greci”, per dire “stranieri”. Questi chiedono a Filippo: «Vogliamo vedere Gesù». Gesù, poi, entra in azione ed ecco la sua risposta: «È venuta l’ora». Potremmo dire: è l’ora in cui «il chicco di grano, caduto in terra muore» e «produce molto frutto». Gesù attesta che quel chicco di grano non è rimasto solo, ma darà molto frutto.
La richiesta di vedere Gesù si concretizza nella parabola di questo chicco di grano che muore e produce molto frutto. Gesù sembra iniziare un racconto nuovo per noi, per la vita di tutti, per quella salvezza che cerchiamo. Comprendiamo che Lui intende aprire una strada possibile di vita per tutti: «Se uno mi vuole servire, mi segua […] Se uno serve me, il Padre lo onorerà». Con Lui e come Lui, possiamo non rimanere soli, come lo è un chicco di grano che non muore enon può produrre nulla.
E, invece, per passione di vita, per comprensione del tanto dolore che ci circonda, per desiderio e scelta di una fraternità da scoprire e ricostruire, per fiducia vicendevole per cui siamo disposti a perdere qualcosa di nostro fino a smetterla di screditarci a vicenda, per dei sogni di bene che ci impegneremo a condividere, per tutto questo potremmo immetterci sulla strada nuova aperta da Gesù che attraversa il dolore, ma facendoci carico di esso gli uni per gli altri, gli uni con gli altri, poiché il frutto da produrre è il molto frutto di tutti.
Sta davanti a noi la parola profetica di Gesù, morto e risorto: «E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Nel volto e nel cuore dell’Addolorata, come un chicco di grano che muore e produce molto frutto, abita questa promessa di Gesù. L’«Eccomi» di Maria, mentre attraversa tutto quanto il nostro dolore, è già un canto di risurrezione e di vita!
Ger 31,31-34; Sal 50 (51); Eb 5,7-9; Gv 13,20-33