Nelle esequie di don Giovanni Unterberger

Cattedrale di Belluno
15-03-2021

Introduzione

Quanti hanno fatto un tratto di strada con don Giovanni, sostenuti da lui, hanno potuto sperimentare che la fatica può dischiudere nuova energia, che una caduta può guarire di perdono, che una speranza può sempre rinascere, che la vita in Cristo Gesù rigenera l’esistenza e fa risorgere. È ora la nostra Eucaristia con lui e per lui. C’è il vescovo Giuseppe, vi sono la comunità del Seminario gregoriano, la rappresentanza del presbiterio e tanti amati figli e figlie “nello Spirito”. Noi tutti siamo un’Eucaristia!

Omelia

(Ap 1,9-13a. 17-19; Sl 29; Mc 4,43-54)

Eccoci qui, don Giovanni, uniti a te: siamo ammirati dei segni compiuti da Gesù. Tale stupore l’abbiamo imparato con te e da te. Il primo segno è l’amore: a Cana di Galilea – ci avverte l’evangelista – Gesù «aveva cambiato l’acqua in vino» in una festa di nozze. «Il secondo segno che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea» è la vita: «Tuo figlio vive!». Gesù l’aveva detto già prima che accadesse al funzionario del re che «gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire». Di lui l’evangelista annota: «Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino». Come te, don Giovanni: hai creduto alla parola che Gesù ti ha confidato e affidato e ti sei incamminato al suo seguito. Così la tua appassionata vicenda, la tua sapiente cura pastorale, la tua fraterna vicinanza, la tua affettuosa paternità, la tua sincera amicizia sono state invase da questi due segni di Gesù: l’amore e la vita.

Per te Cana di Galilea, di cui parla l’evangelista, è una innumerevole folla di bambini, ragazzi, giovani, uomini e donne, famiglie, religiose e religiosi, seminaristi, diaconi, presbiteri, vescovi… a cui hai saputo comunicare l’irresistibile sete di quell’amore e di quella vita che solo in Gesù, «il Primo e l’Ultimo, e il Vivente» (cfr. Ap 1,17-18), sono date per la nostra compiuta guarigione.

«Tuo figlio vive!»: questa parola di vita, di fiducia, di guarigione, di rinascita, di speranza, di risurrezione, che Gesù ha pronunciato, ti è penetrata nelle fibre più profonde della tua storia, del tuo cammino di fede, del tuo ministero. Ti sei scoperto “figlio amato”. Lo stupore dell’essere amati solo per amore, solo per grazia, cambia la vita. Anche la fermezza della tua indole è diventata dolcezza di affabilità, interminabile disponibilità, dedizione amabile. «Tuo figlio vive!» è quanto hai sospirato, atteso, predisposto, richiesto, pregato, sostenuto, donato nell’esercizio della tua paternità spirituale.

Carissimi, allo stesso tempo, in un genuino discepolato al seguito del Signore Gesù, in don Giovanni – mentre egli diventava sempre più figlio – maturavano in lui anche la dolcezza e l’autorevolezza del padre. Sempre più egli si percepiva generato e rigenerato da un amore smisurato, quello per cui Dio ha osato «dare il Figlio unigenito», come ci ricordava il Vangelo di ieri, perché tutti abbiamo la vita in pienezza. Da questo stesso amore don Giovanni ha tratto l’arte divina di generare. «Tuo figlio vive!»: è il dono di cui egli si è fatto portatore. Lo trasudava nelle parole e nei gesti, nel pensiero e nei sentimenti, nel cammino esigente della sua vita spirituale e nei suoi arguti percorsi culturali.

Stupisce come tutto questo don Giovanni lo sapesse incarnare in una semplicità disarmante, ma fatta di convinzione profonda che gli dava anche la percezione della fragilità e del limite di tante cose che abbiamo e situazioni in cui versiamo.

Nel giorno del suo compleanno, il 9 gennaio scorso, corrispose così al mio augurio: «Caro padre, ringrazio degli auguri, dell’affetto e della benedizione. C’è tanto bisogno, anche tra la gente, di sentirsi benedire. E noi lo possiamo! A molti genitori con cui ho un po’ di più confidenza, nel salutarli traccio loro un segno di croce sulla fronte, lo accolgono volentieri; e dico loro di farlo la sera sulla fronte dei loro figli, e anche al mattino quando escono per andare a scuola (ora per il momento non ci possono andare). E mi dicono che lo fanno, e che sono momenti belli di fede».

È la stessa parola di Gesù: «Tuo figlio vive!».

È questo il modo con cui don Giovanni ha fatto sì che diventasse corpo e carne quella Parola a cui ha dedicato i suoi studi, il suo insegnamento, ma più ancora la sua esperienza di uomo, di credente, di presbitero.

Sulla scia di Giovanni – il veggente dell’Apocalisse che abbiamo ascoltato nella prima lettura – anche al nostro Giovanni si addicono le parole lì riportate: «Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù».

Sì, don Giovanni ovunque si sia trovato, nella sua Patmos di vita, era lì «a causa della parola di Dio e della testimonianza a Gesù».

Oltre la tribolazione degli ultimi giorni, vi è una catena di altre tribolazioni – piccole e grandi – in cui don Giovanni ha potuto affiancarsi a molti per una parola, un gesto e un abbraccio di benedizione.

«Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. 19Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito».

Grazie d. Giovanni, lo hai fatto! Hai posto instancabilmente e fedelmente, questa benedizione apportatrice della parola di Dio e della testimonianza a Gesù su tutti coloro che hai incontrato e amato.

Scorgi ora «il cielo nuovo e la terra nuova» per cui hai dato te stesso. «La città santa, la Gerusalemme nuova» è davanti a te. Essa scende dal cielo, da Dio ed è «pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 1).

Così come il Risorto ti dona di vivere, continua a farci dono ancora della “gioia del Vangelo”.