Il Natale esce dal minuscolo capoluogo di Betlemme

Omelia nella solennità dell’Epifania (in Cattedrale)
06-01-2023

 Is 60,1-6; Sal 71(72); Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12

Non ignoriamo quanto Isaia segnala: «La tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli». Il profeta lancia uno sguardo e propone una visione che ci riguardano. Il suo non è un vedere nero. Egli non è un pessimista o un disfattista. Non fa neppure la litania delle lamentele come spesso si usa fare. Isaia rappresenta un’umanità viva, consapevole, aperta, in movimento, scrutatrice di futuro, immersa in un ampio orizzonte. È l’umanità che cerca ovunque e che sogna alla grande, intravedendo l’indicibile e l’inaudito. Ecco le sue parole di profezia rivolte a Gerusalemme che era stata distrutta: «Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore». Il perché di questa visione salvifica e di questo orizzonte di luce non è semplicemente un successo umano, non è una conquista o una vittoria da parte di chi è più potente e neppure si tratta di un atto eroico attribuibile a chissà quale strategia di forza. C’è un annuncio strepitoso: «Su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te».

Potremmo lasciare inascoltato questo annuncio e restare noi indifferenti, potremmo intenderlo come una sorta di vaneggiamento o addirittura di burla, potremmo valutarlo come una possibilità che non ci riguarda e che non è vantaggiosa ai nostri molto più concreti e immediati interessi.

Oggi, in questa celebrazione dell’Epifania, il Natale esce dal minuscolo capoluogo di Betlemme, fuoriesce dall’ambito familiare di Giuseppe e di Maria e si riversa su di noi, sulle nostre storie, addirittura raggiunge ogni spazio e ogni tempo e riguarda «tutti i popoli della terra», come abbiamo cantato nel salmo responsoriale. L’apostolo Paolo raggiunge gli Efesini, li richiama e li avverte di essere anche loro coinvolti: «[…] è stato fatto conoscere il mistero. Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato». Paolo lo enuncia così: «Le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e a essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo».

È per questo che subito dopo il racconto evangelico è stato dato l’annuncio delle celebrazioni dell’anno che stiamo vivendo. È stato cantato: «Fratelli e sorelle, la gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno». Poi alla fine ci è stato ricordato: «La Chiesa pellegrina sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore».

Ecco dove ci conduce l’epifania del Signore, la sua manifestazione a tutti e ovunque: a essere pellegrini sulla terra, in cammino nel tempo che ci è dato, gli uni incontro agli altri…

Ed è lo stupendo racconto del vangelo di oggi a mostrarci come “pellegrinare” sulla terra, come vivere il nostro tempo, come muoverci, come orientarci, come scegliere di diventare umanità risplendente di luce, cioè illuminata dalla gloria di Dio, portando la promessa del Vangelo ovunque.

Dietro il racconto dell’evangelista Matteo scopriamo un Dio che si avventura con i Magi, i quali non avevano la conoscenza delle Scritture come «i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo». È un Dio affascinato dalla loro ricerca, dalla loro sete di novità, dal loro desiderio di scoprire la bellezza dell’universo e di conoscere persone e popoli di cui avevano sentito parlare. È il Dio che scopriranno nel segno inaspettato e paradossale a cui approderanno: Betlemme, in una casa, dove «videro il bambino con Maria sua madre». Lì si abbandonarono ad «una gioia grandissima» – narra l’evangelista – e «si prostrarono e lo adorarono». È un Dio che si è rivelato a loro, per un’altra via, senza conoscere le Scritture, senza le vie dell’ufficialità e del potere. Giungono alla fede per un’altra via, strana, nascosta, ingiustificata, ma accompagnata con premura e delicatezza da Dio. Chi – come Erode e gli scribi del popolo e i capi dei sacerdoti – avrebbe dovuto riconoscere quel bambino, ha perseguito altri scopi, altri fini.

I Magi, poi, hanno saputo cambiare via rispetto a quella che li avrebbe riportati da Erode, a compromettersi con lui.

Penso che non dobbiamo perdere mai la fiducia di ritenere che Dio non smetterà di illuminare la via che ancora non conosciamo della nostra vita, i percorsi molteplici e complessi della nostra fede, il cammino di una umanità che ha già ricevuto in dono la gloria di Dio in quel bambino con sua madre, anche lui sulla strada della vita, tra mille inconvenienti e inaspettati risvolti. Proprio per questo oggi riconosciamo in lui la stella che ci illumina la strada aperta sull’orizzonte di luce di Dio.