Il tesoro e il cuore

Omelia nella ricorrenza del Palio di Feltre
07-08-2016

Sapienza 18,6-9; Salmo 32 (33); Ebrei 11,1-2.8-19; Luca 12,32-48

Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

Dov’è il tuo tesoro, Città di Feltre, in questi giorni del Palio? Perché il tuo cuore non può che essere lì.

La domanda può essere riformulata: che cosa ti sta a cuore, Città di Feltre, in questi giorni?

Chi ti guarda in queste circostanze di festa, coglie in te una voglia di storia antica…

Può restare Il tuo cuore racchiuso lì, nel passato che stai rievocando?

C’è un tesoro a cui vale la pena legare il cuore. Certamente lo è anche la tua storia passata. Ognuno di noi, come anche la vicenda di questa Città, ha ricevuto cose preziose da chi ci ha preceduto, anche dalle situazioni storiche che stiamo rievocando.

Ma non basta: il nostro cuore non è solo in un passato seppure fiorente.

Ecco guardo il volto di voi giovani: dove è puntato il vostro sguardo? Dove state legando il vostro cuore, a quale tesoro?

Probabilmente dentro questa domanda ci sono paure e timori, c’è il senso di non farcela in un contesto di vita diventato per tutti complesso e difficile, dove spesso ci si trova trascinati da forze più potenti dei nostri desideri.

La scorsa settimana eravamo con un gruppo di giovani della nostra Chiesa di Belluno-Feltre a Cracovia, insieme a più di un milione di giovani provenienti da tutto il mondo.

Non posso non ricordare qui le parole di papa Francesco: ci possono aiutare ad entrare con coraggio e verità dentro la domanda: dove state legando il vostro cuore, a quale tesoro?

Dopo aver ascoltato le testimonianze di alcuni giovani, il papa ha fatto riferimento al senso di paura che può impadronirsi di voi giovani quando vi guardate attorno e tentate di intravedere il vostro futuro.

Papa Francesco ha detto: «Dove ci porta, la paura? Alla chiusura. E quando la paura si rintana nella chiusura, va sempre in compagnia di sua “sorella gemella”, la paralisi; sentirci paralizzati. Sentire che in questo mondo, nelle nostre città, nelle nostre comunità, non c’è più spazio per crescere, per sognare, per creare, per guardare orizzonti, in definitiva per vivere, è uno dei mali peggiori che ci possono capitare nella vita, e specialmente nella giovinezza. La paralisi ci fa perdere il gusto di godere dell’incontro, dell’amicizia, il gusto di sognare insieme, di camminare con gli altri. Ci allontana dagli altri, ci impedisce di stringere la mano […], tutti chiusi [come] in […] piccole stanzette di vetro».

Siamo noi adulti spiazzati da queste parole, se le nostre città, le nostre contrade, i nostri rioni, i nostri contesti di vita non permettono alle nuove generazioni di sognare in grande il loro futuro, se non sappiamo più comunicare loro il gusto dell’incontro, dell’amicizia, di camminare con gli altri, di stringere mani…

La storia che ci ha preceduto non è un passato congelato, senza vita, irrigidito da paure e chiusure… Dobbiamo scoprire dentro la storia passata il grande sogno che l’ha attraversata, un sogno che apre tutti noi su un futuro da pensare e costruire insieme.

Queste domande poste ai giovani da papa Francesco ci riguardano tutti: «Domando a voi: volete essere giovani addormentati, imbambolati, intontiti? […] Volete che altri decidano il futuro per voi? […] Volete essere liberi? […] Volete essere svegli? […] Volete lottare per il vostro futuro?».

Per tutti noi – per voi genitori, per chi ha responsabilità educativa, per chi amministra la cosa pubblica – vale questa parola schietta di Francesco: «Sicuramente, per molti è più facile e vantaggioso avere dei giovani imbambolati e intontiti che confondono la felicità con un divano; per molti questo risulta più conveniente che avere giovani svegli, desiderosi di rispondere, di rispondere al sogno di Dio e a tutte le aspirazioni del cuore […] E c’è tanta gente che vuole che i giovani non siano liberi; c’è tanta gente che non vi vuole bene, che vi vuole intontiti, imbambolati, addormentati, ma mai liberi. No, questo no! Dobbiamo difendere la nostra libertà!».

Ecco la parola del Vangelo che abbiamo proclamato, rivolta ai discepoli, a noi – pur con le nostre esitazioni e incoerenze – a noi che cerchiamo “parole buone” per vivere, “parole belle” per rendere più dignitosa e più gustosa la vita, “parole vere” per essere più liberi e responsabili.

Eccolo questo buon annuncio: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità, io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli».

Gesù ci racconta di Dio al futuro: un Dio che induce alla vita, a costruire con responsabilità, ad essere veramente liberi. Tutto questo è sempre un metterci cuore, un “mi sta a cuore”, un “mi appassiono”, un “costruiamo insieme”, un “diamoci una mano”…

Sì, possiamo osare nell’ammettere che Gesù ci parla di un Dio che ha una sua pazzia: pazzia di amore, di misericordia. È descritta da Gesù in questa eccezionale piccola parabola: un Dio che si stringe le vesti ai fianchi, che ci fa mettere a tavola e che – proprio lui – passa a servirci…

A, voi giovani, il papa ha tradotto così questa parabola, invitandovi a lasciare la “vostra impronta nella storia”: «Andare per le strade seguendo la “pazzia” del nostro Dio che ci insegna a incontrarlo nell’affamato, nell’assetato, nel nudo, nel malato, nell’amico che è finito male, nel detenuto, nel profugo e nel migrante, nel vicino che è solo. Andare per le strade del nostro Dio che ci invita ad essere attori politici, persone che pensano, animatori sociali. Che ci stimola a pensare un’economia più solidale di questa. In tutti gli ambiti in cui vi trovate, l’amore di Dio ci invita a portare la Buona Notizia, facendo della propria vita un dono a Lui e agli altri. E questo significa essere coraggiosi, questo significa essere liberi!».

Per tutti noi in questa ricorrenza del Palio di Feltre sentiamoci raggiunti dal Vangelo di Gesù: vi è stato dato molto, donate molto, mettete il vostro dono.

E permettete che vi consegni quest’ultima parola detta ai giovani dal papa, ma che ci può vedere tutti destinatari: «Dio aspetta qualcosa da te, Dio vuole qualcosa da te, Dio aspetta te. Dio viene a rompere le nostre chiusure, viene ad aprire le porte delle nostre vite, delle nostre visioni, dei nostri sguardi. Dio viene ad aprire tutto ciò che ti chiude. Ti sta invitando a sognare, vuole farti vedere che il mondo con te può essere diverso. E’ così: se tu non ci metti il meglio di te, il mondo non sarà diverso. È una sfida».