L’identità e la rilevanza della Facoltà teologica nelle Chiese e nel territorio del Nord Est

Relazione del vescovo Renato Marangoni al Collegio plenario dei docenti della Facoltà teologica del Triveneto
09-06-2021

 

1. Sul tema affidatomi mi limito a collocarmi nel punto di osservazione delle Chiese del Nord Est. La rilevanza della FTTr «nel territorio del Nord Est» immagino rientri meglio nelle successive relazioni riguardanti le «istanze pastorali e culturali che interpellano i nostri Istituti teologici».

2. Mi appello alla mia esperienza vissuta nel contesto delle Chiese del Nord Est: da cinque anni sono vescovo di Belluno-Feltre, precedentemente ho fatto parte delle cosiddette “Commissioni trivenete” – particolarmente come coordinatore di quella della Famiglia e Vita dal 2001 al 2009 e contemporaneamente membro di quella “presbiterale” fino al 2016 – e per essermi avventurato nel II Convegno delle Chiese del Triveneto, chiamato Aquileia 2. Tutto questo è parziale, ma penso che sia l’unica possibilità più reale per me al fine di cogliere la vicenda delle Chiese del Triveneto. È una vicenda che anche sostanzialmente può essere considerata così: “costituita da un insieme di parzialità”, nel senso che non è riuscita a spiccare quel volo di condivisione e di collaborazione – oggi diremmo “sinodalità” – che continuamente era auspicato, preparato, atteso.

3. Non nascondo un senso misto di meraviglia e di sconcerto nel leggere lo Statuto della FTTr e scoprire l’articolato rapporto che dovrebbe intercorrere innanzitutto tra Conferenza Episcopale Triveneto e FTTr, ma evidentemente anche – e qui affiora una sorta di questione ecclesiologica aperta da riprendere – tra Chiese del Triveneto e FTTr. Rilevo a riguardo che, essendo parte della CET da cinque anni, personalmente posso testimoniare che è avvenuto una sorta di soffocamento di questo articolato rapporto di cui si parla in ben tre dei cinque punti dell’articolo 2 dello Statuto, dove si elenca che cosa si propone la FTTr. Il prevalere della questione amministrativa in senso economico-finanziario, con tutto il nodoso problema della sostenibilità economico-finanziaria e il complesso rapporto a tre soggetti – CET, FTTr, Seminario/Diocesi di Padova – ha contribuito a far prevalere in CET l’impressione che la FTTr sia prevalentemente un problema di tale genere. Concretamente non si è guardato alla FTTr nei termini con cui lo Statuto ha previsto all’articolo 1 che la FTTr «è promossa dalla Conferenza Episcopale Triveneta». Ho poco fa parlato di “sconcerto”, perché, nel frattempo, è andata sfumando, se non anche smarrendosi, questa triplice interessante intenzionalità:

    1. «sostenere le Chiese del Triveneto nella loro missione» nell’intento di «inculturazione della verità cristiana, in dialogo interdisciplinare con la cultura contemporanea» (art. 2 b);
    2. elaborare e proporre «in comunione e stretta collaborazione con le Chiese locali, indicazioni e orientamenti utili alla missione ecclesiale», recependo «situazioni e problemi della società, della cultura e e della vita ecclesiale» del Triveneto (art. 2 c);
    3. «curare la formazione teologica» di candidati al ministero ordinato e di religiosi e laici in vista del servizio ecclesiale e sociale, tra questi gli insegnanti di Religione Cattolica nelle scuole (art. 2 d).

Che fare? Occorre ricostruire un tessuto fiduciale, non astratto, fatto di attuazione degli impegni reciproci previsti dallo Statuto, arricchito di una “empatia” che possa rispettare e riconoscere la mission di questi due soggetti. Ammetto che la Commissione episcopale assolve – in modo riduttivo – troppo burocraticamente le mansioni che le sono affidate dallo Statuto. Dopo quanto avvenuto nel contezioso economico-finanziario di cui sopra, da entrambi le parti occorre una cura specifica per riannodare, ricentrare, rivalutare, promuovere una collaborazione generativa in ordine alle finalità per cui si è voluta la FTTr. SU questo personalmente penso di impegnarmi, ma lo posso dire anche a nome della Commissione episcopale da poco rinnovata. Mi pare che da parte nostra ci siano ora migliori condizioni, rispetto all’immediato passato, per desiderarlo, provarlo e realizzarlo. Chiedo anche a voi suggerimenti a riguardo, sia di atteggiamento e stile, sia di operatività e di metodo.

4. Interessante e molto prospettico quanto programmaticamente espresso all’art. 3: «La FTTr è costituita, secondo un sistema a rete, dalla Sede centrale di Padova, dagli Istituti Teologici Affiliati e dagli Istituti Superiori di Scienze Religiose collegati». C’è un connotato di specificità e di originalità in questo “sistema a rete”. Dal 2005 a oggi sistemi del genere si sono vorticosamente sviluppati. Certamente dal punto di vista del vissuto delle nostre Chiese si tratta di una dinamica non semplicemente strumentale. Ha un risvolto pastorale, ma anche risvolti teologici evidenti e attualissimi. Le nostre Chiese a riguardo hanno molto da sperimentare, ma prima di tutto molto da convertire, essendo la Chiesa alla stregua di un sistema a rete. Tutte le Chiese del Triveneto si sono già avventurate nel progettare, prevedere, preparare, praticare una messa in rete, un connettersi, un collaborare, un unire, un fare comunità tra i vari soggetti ecclesiali, in particolare le comunità parrocchiali. Nel Triveneto ne abbiamo di tutte le forme, dislocate nei più s-variegati territori delle due Regioni e due Province autonome che costituiscono la Regione ecclesiastica del Triveneto. Non dimentichiamo le plurali entità linguistiche che rendono ancora più ricco e complesso il territorio. Anche di questo la FTTr dovrebbe considerare l’opportunità. L’inculturazione della fede che compete complessivamente alla FTTr ne risulta vivacizzata e impreziosita. Si coglie nelle Chiese del Triveneto un’esigenza di come dare forma alla Chiesa sul territorio.

Come immaginare, declinandola al futuro, la Chiesa locale nel Nordest? Come potranno configurarsi le comunità ecclesiali? In quali rapporti e connessioni tra di esse?

Vi è un contrasto molto evidente tra comunità ecclesiali di tipo “metropolitano” e comunità dislocate in montagna sottoposte alla prova dello spopolamento e delle sue conseguenze drammatiche a livello di interazione tra persone, realtà familiari, istituzioni, servizi. Che relazionalità è possibile in queste situazioni così contrastanti? Rilevo qui un particolare a cui sono direttamente interessato. Ritengo “provvidenziale” il fattore FAD che caratterizza e – ormai possiamo dirlo – qualifica l’ISSR Giovanni Paolo I. Su un territorio che ordinariamente diventa irraggiungibile per una formazione in presenza si è aperta una possibilità di dignitosa formazione visto che investe e coinvolge i contesti di vita. Tale fattore va ulteriormente supportato piuttosto che concesso e tollerato, va riconosciuto nella sua validità magari ripensandolo e rilanciandolo.

5. I due eventi ecclesiali che avrebbero dovuto esprimere il frutto di una condivisione e, nello stesso tempo, piantarne il seme di un ulteriore sviluppo sono appunto i due Convegni ecclesiali triveneti che portano il nome di Aquileia: il primo nel 1990 (Comunità cristiane e futuro delle Venezie) e il secondo – Aquileia 2 – nel 2012. Si devono vedere in un rapporto stretto i due convegni poiché Aquileia 2 ha inteso, nel suo primo anno di preparazione (2010-2011), «rivisitare il vissuto trascorso, a partire dal primo Convegno ecclesiale tenuto ad Aquileia nel 1990» da parte di «ogni Chiesa locale del NordEst». È interessante notare che si prevedeva, in questo primo anno: «discernere con gli occhi della fede le sfide e le domande a cui oggi essa è chiamata a rispondere». Avviando la preparazione di Aquileia 2, ci si proponeva di realizzare «tra le Chiese del NordEst una maggiore condivisione nella testimonianza, nel discernimento e nella profezia» (CET, Aquileia 2. Traccia di lavoro per le Diocesi, Padova 2010, p. 3).

  • Questo è l’obiettivo di Aquileia 2: «Intravedere e proporre forme di “collaborazione pastorale” tra le Chiese del NordEst» (CET, Aquileia 2. Traccia di lavoro per le Diocesi, Padova 2010, p. 12).
  • All’inizio del secondo anno di preparazione di Aquileia 2, l’1 ottobre 2011, i vescovi del Triveneto scrivono una Lettera alle loro 15 Chiese: «Ora ci attende un discernimento orientato a scoprire le esigenze per annunciare, in forma rinnovata, il Vangelo di Gesù Cristo nelle terre del NordEst» (In cammino verso Aquileia 2. Lettera dei Vescovi [1-10-2011], 3-5).
  • L’8 maggio 2011 papa Benedetto XVI celebra l’Eucaristia nel Parco Giuliano di Mestre, incontrando i pellegrini venuti dalle 15 Diocesi e incoraggia a portare a compimento il cammino verso Aquileia 2: «La mia presenza tra voi vuole essere, perciò, un vivo sostegno agli sforzi che vengono dispiegati per favorire la solidarietà fra le vostre Diocesi del NordEst».
  • Le 15 Diocesi nel primo anno di preparazione si sono, dunque, raccontate. Il Comitato triveneto di preparazione di Aq2 raccolse i “temi ricorrenti” e le “indicazioni emerse”, riconsegnando alle Diocesi, nel secondo anno di preparazione, tre schede su cui lavorare ulteriormente: 1. Una “nuova evangelizzazione” del NordEst; In dialogo con la cultura del nostro tempo; 3. Impegnati per il “bene comune”. Queste tre schede furono così motivate: «Esse tracciano delle piste per operare quel discernimento che permetta di individuare su quale livello e in quali forme le 15 Diocesi del Triveneto possano collaborare pastoralmente» (In cammino verso Aquileia 2. II Traccia di lavoro di Aquileia 2 [2011-2012], Padova 2011, pp. 7-26, 18).
  • Questa rivisitazione delle motivazioni che hanno sostenuto il cammino “sinodale” di Aquileia 2 portano alla constatazione realistica che non si è concretamente realizzata una collaborazione pastorale, configurandola formalmente. Torna una questione ecclesiologica di fondo, molto evidente nei risvolti di questo cammino intrapreso: non basta a costruire comunione tra le Chiese la forma della collegialità episcopale. Occorre per davvero attuare rapporti tra le Chiese considerate nella pluriformità dei soggetti che le compongono. Si può risalire al Concilio Vaticano II dove, altrettanto, i rapporti tra Chiese locali rischiano di essere ridotti al solo appiglio della collegialità episcopale. A riguardo del Triveneto si può rilevare la fatica delle cosiddette Commissioni trivenete di pastorale che raccolgono i corrispondenti responsabili degli uffici di pastorale di ciascuna delle 15 diocesi. La CET come frutto di Aquileia 2 non ha proceduto a ripensare questi organismi e non ha ritenuto opportuno dare continuità all’azione moderatrice del Comitato che aveva guidato la preparazione e la celebrazione del Convegno ecclesiale. Sarebbe stato un significativo e promettente passo verso l’impegno manifestato da papa Francesco nel 50° anniversario di istituzione del Sinodo dei Vescovi: «Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio» (17-10-2015). La FTTr, per sua natura e mission, chiede – se non anche esige – questa sinodalità tra le 15 Diocesi del Nordest.

6. «Che ne è stato di Aquileia 2?». È la domanda posta da don Franco Gismano nell’editoriale (8 maggio 2021) del settimanale Voce Isontina dell’arcidiocesi di Gorizia, a dieci anni dalla visita di Benedetto XVI in preparazione al Convegno ecclesiale triveneto. Ad essa risponde riportando anche la sensazione che segue ogni evento di tal genere nelle nostre Chiese, sia a livello nazionale, sia locale. È di difficile identificazione il contributo dato, ammette l’editorialista, specialmente in rapporto «a qualche strategia pastorale di breve durata allora elaborata», ma non a livello di promessa che quel vissuto ecclesiale aveva alimentato. Per cui don Franco riconosce: «Lo spirito di quell’assise non è cosa passata anche se i tempi possono essere cambiati. Perché non è passato, ma anzi si è reso ancora più attuale, il travaglio / la crisi / la crisi il passaggio verso una Chiesa auspicabilmente più libera perché più povera. Sì, da allora siamo tutti più poveri anche se non sono in grado di dire quanto più effettivamente liberi. Come sempre è accaduto nella storia della Chiesa, non è scontato che si riesca a vivere questo binomio in senso autenticamente evangelico». Egli fa notare che «Aquileia 2 […] ha rimesso al centro la questione della libertà della fede ovvero la centralità della persona. Non per niente è su questo tema che si è consumata la scissione più grave nel corpo ecclesiale post-conciliare. Il travaglio / la crisi / il passaggio a un diverso modo di concepire l’appartenenza alla Chiesa in particolare da parte delle donne e dei giovani che si dicono credenti sono radicalmente attuali».

Infine don Franco si chiede se ci sia uno stile ecclesiale da assumere, anche nel Nordest. Lo riconosce nel «favorire la crescita di autonomia responsabile del credente», per poi concludere: «Una chiesa di comunione che sa rispettare, mettendosi a servizio della Verità, tempi, modi, processi e relazioni che rispettino la capacità di ciascuno di riconoscersi in Gesù e scegliendolo nella misura possibile. Senza forzature pastorali. Una Chiesa così povera da saper ascoltare e servire lo Spirito nella storia dei fratelli».

Mi è sembrata pertinente questa lettura/rilettura di un percorso di Chiesa nel territorio del Nordest, poiché tratteggia un orizzonte di vita ecclesiale che esita ad essere avviato e attuato. Si tratterebbe di un servizio umile e sincero ai processi in atto, ai percorsi personalizzati della fede, alle dinamiche relazionali tra le persone, al ripensamento e ridimensionamento dell’istituzionalizzazione di tutto questo. Le Chiese del Nordest faticano a esprimere pastoralmente quella creatività capace di non trascinarsi dietro tutto quello che nel passato era diventato necessario e che ha prodotto una pastorale obesa. Mentre anche queste Chiese dovrebbero diventare capaci di sperimentarsi in questo servizio umile e sincero “inculturandosi” – se così si può dire – nei processi in atto in questo “cambiamento d’epoca”, ora anche con un’esperienza di pandemia che ha sconnesso e reso trepidante il nostro vissuto ecclesiale.

Qui si può ammettere ci sia un interessante appello alla FTTr nel suo proporsi alla missione delle nostre Chiese, come recita l’art. 2 dello Statuto.

7. Per cogliere un ulteriore filone di ripensamento dell’essere Chiesa nel Nordest è interessante riprendere la tematica dell’evangelizzazione presente fino ad essere la ragione di fondo del primo convegno ecclesiale di Aquileia: Comunità cristiane e futuro delle Venezie. I Convegni ecclesiali nazionali e l’elaborazione decennale degli orientamenti pastorali lo richiedevano. Il contesto nuovo europeo lo esigeva e si tradusse in significativi contatti, scambi e iniziative pastorali. La missione triveneta in Tailandia, poi Telechiara si possono ascrivere a quel Convegno. Furono gli anni della “nuova evangelizzazione”. Non entro in questioni valutative di tale sensibilità, riflessione e pratica pastorale. Vorrei segnalare che da quegli anni si svolge un interessante ripensamento in pastorale rappresentato da più formulazioni: nuova evangelizzazione, evangelizzazione, annuncio, trasmissione della fede, comunicazione del Vangelo, «un invito alla speranza» – che rappresentò l’attenzione e la cura delle nostre 15 diocesi – per l’iniziazione cristiana dei ragazzi, primo e secondo annuncio, i ricomincianti… Da questa prospettiva si può giungere ad Aquileia 2 con quanto già evidenziato. Si intendeva ripartire in un cammino condiviso delle 15 Chiese del Triveneto lungo la triplice prospettiva di: Una “nuova evangelizzazione” del NordEst; 2. In dialogo con la cultura del nostro tempo; 3. Impegnati per il “bene comune”.

In vista di Aquileia 2 ci fu una proficua collaborazione permanente con la FTTr. L’OSReT condusse un’indagine sulla religiosità in rapida trasformazione nel Nordest presentata in due Seminari di studio, mentre la FTTr organizzò alla vigilia della celebrazione del convegno, il 23 marzo 2012, un Convegno Accademico: Quale volto di Chiesa? Fra tradizione e rinnovamento. Si può riprendere, di quel momento, lo sguardo che tentava di scrutare il futuro: «Si sta andando verso identità religiose, identità confessionali e forme di spiritualità al plurale e dunque: verso una cultura della libertà religiosa, intesa sia come libertà di religione, sia come libertà nella religione; verso un cattolicesimo “con meno Chiesa” […]. Il Nordest […] è fatto di persone che vivono il contrasto tra credere e non-credere, tra bisogno di appartenenza e desiderio di autonomia. Emergono inoltre nuovi spazi di spiritualità dinamici e interessanti, diversi da quelli che hanno caratterizzato il passato» (Sintesi della Ricerca, presentata il 18-02-2012). Quello che matura nel decennio successivo non comporta un “salto mortale”. Si tratta di una gestazione ben rappresentata dall’Evangelii Gaudium. Nella recente Assemblea generale della CEI è avvenuto un chiarimento di intenti che prevede un “cammino sinodale” da percorrere nei prossimi anni. Ecco come è stata tratteggiata la prospettiva sintetica del cammino: «L’itinerario del “Cammino sinodale” comporta la necessità di passare dal modello pastorale in cui le Chiese in Italia erano chiamate a recepire gli Orientamenti CEI a un modello pastorale che introduce un percorso sinodale, con cui la Chiesa italiana si mette in ascolto e in ricerca per individuare proposte e azioni pastorali comuni. Ci è chiesto di passare da un modo di procedere deduttivo e applicativo a un metodo di ricerca e di sperimentazione che costruisce l’agire pastorale a partire dal basso e in ascolto dei territori» (CEI, Carta d’intenti per il “cammino sinodale”, materiale Assemblea Generale 24-27 maggio 2021, p. 2). Tale prospettiva dovrebbe sviluppare insieme riflessione e pratica pastorale «per ripensare il presente e il futuro della fede e della Chiesa in Italia».

Mi pare che possiamo ritrovare in questo intento un’opportunità da non perdere e da cogliere in pieno per ritrovare e rilanciare “l’identità e la rilevanza della Facoltà teologica nelle Chiese e nel territorio del Nord Est”. Sviluppare una fruttuosa e vicendevole interazione potrà favorire il processo di “conversione pastorale” tanto auspicata e attesa.

Nella recente Assemblea CEI è circolato come titolo e come leitmotiv questo tema: Annunciare il Vangelo in un tempo di rinascita. Ne deriva che «lo stile ecclesiale rappresenta la sfida decisiva» affinché il Vangelo possa rinascere oggi nelle persone con l’evolversi di nuovi contesti socioculturali e di nuove dinamiche relazionali. Alcuni passaggi avvenuti in seno alla CET possono essere rassicuranti che le Chiese del Nordest si muoveranno sulla scia di questo “cammino sinodale” delle Chiese in Italia. In un contributo recente della CET inoltrato al Consiglio permanente della CEI è stato scritto: «Il cammino richieda ampia verifica e discernimento sulla realtà ecclesiale italiana e locale (regioni ecclesiastiche, diocesi) – da attuare con sapienza e realismo circa la vita e le dinamiche delle nostre parrocchie, comunità, aggregazioni, movimenti ecc. – a partire dall’Esortazione apostolica Evangelii gaudium e circa l’annuncio del Vangelo, il soggetto e il servizio ecclesiale (forme e modalità di presenza ecc.) nell’attuale contesto – interrogandosi sui mutamenti paradigmatici, i punti di crisi e i segni di rinascita/speranza che l’esperienza pandemica ha creato o accentuato nella vita delle persone, delle comunità ecclesiali e della società civile».

8. Possiamo cogliere in seno alle nostre Chiese del Nordest alcune esigenze su cui i vescovi tornano spesso segnalandole sia come attenzioni da avere sia come emergenze a cui fare fronte nella vita pastorale. Sono certamente da considerare e affrontare mettendo insieme riflessione e pratica pastorale. Ciò si addice all’impostazione della FTTr. Ne faccio semplicemente cenno confidando che possiamo elaborare una sorta di carta delle priorità:

    1. la ministerialità ecclesiale – ulteriormente messa a tema dai recenti motu proprio di papa Francesco – in una reale e onesta valorizzazione di laici e laiche;
    2. la forma di Chiesa sul territorio a cui riferirci mentre si elaborano modelli nuovi di unità, di collaborazione, di connessione tra le comunità parrocchiali; una revisione delle strutture giuridiche delle comunità parrocchiali per renderle adeguate al momento attuale e alla realtà del territorio;
    3. la forma del ministero ordinato in una “Chiesa in uscita”;
    4. le forme, gli organismi, le dinamiche e i metodi di corresponsabilità ecclesiale;
    5. come affrontare le mutazioni di visione-concezione antropologica; come impostare la proposta formativa nei nuovi contesti culturali, assumendo anche la prospettiva “socio-ambientale” indicata dalla Laudato si’.

9. A riguardo dell’offerta formativa della FTTr, comprendendo anche la proposta degli ISSR e degli ITA, ci si chiede come possa essere promossa, sostenuta, adeguata la formazione di “operatori pastorali”, formatori, ministri, animatori… nelle nostre Diocesi. Come la FTTr può più “pastoralmente”, più elasticamente, più concretamente – senza perdere il proprio connotato accademico – sostenere le Diocesi, in particolare quelle con minor risorse umane? Come la FTTr può offrire competenza e accompagnamento ad eventuali “ricerche” o “laboratori” in temi teologico-pastorali alle singole Chiese, alla CET, all’insieme delle Chiese del Triveneto?

Circa la formazione permanente dei presbiteri e dei diaconi è opportuno valutare le domande e i bisogni delle 15 diocesi: perché non ipotizzare un’offerta formativa che possa attuarsi in sede diocesana o inter-diocesana e possa sintonizzarsi con il cammino delle Chiese, mettendo a disposizione, da parte della FTTr, qualità e competenza teologico-pastorale?