Madonna Addolorata

V domenica di Quaresima - chiesa di Santo Stefano in Belluno
29-03-2020

Ez 37,12-14; Sal 129 (130); Rm 8,8-11; Gv 11,1-45

Di nuovo, come se l’avessimo perduto per strada, come ce ne fossimo scordati, alla stregua di una distrazione fatale, in questi giorni di paura e di vuoto, stiamo imparando quanto papa Francesco, venerdì sera, ci ha ricordato: «Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: “Siamo perduti”, così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme».

Il Vangelo di oggi ci racconta di due sorelle, Marta e Maria, che, come tante famiglie in questi giorni hanno accompagnato la malattia di un loro caro, ne hanno sperimentato la forza vincente che lo ha portato alla morte, questo culmine dell’esistenza umana in cui noi non possiamo nulla.

C’è una terza donna, che in questa giornata particolare e, in special modo, in questo luogo, è posta davanti a noi con lo stesso dolore. Il titolo – “l’Addolorata” – ma poi anche la sua immagine con le sette spade che si infliggono nel cuore, rappresentano l’estremo dolore in cui ci si imbatte quando un fratello, un figlio, un padre, una madre, una sorella, un coniuge, un amico vengono strappati dall’affetto con cui si è strettamente legati, come se fossimo parte di una stessa vita. L’Addolorata è Maria, la madre di Gesù.

Vorremmo che tutte tre queste donne, che scrivono pagine incancellabili del Vangelo, ci raccontassero che cosa significhi avvicinarsi a Gesù, volergli bene, riversare su di lui il nostro dolore, coinvolgerlo nel nostro pianto, in particolare quando ci si sente strappare gli affetti più cari e quando la sensazione di essere lasciati soli ci svuota interiormente di ogni forza vitale. Queste tre “donne evangeliche” sono a testimoniarci la verità più umana e più divina che non possiamo ignorare e che, in questi giorni di grande preoccupazione e dolore, non ci sta tradendo, ma si ripropone a noi disarmata, essendo l’unica a tenere sino alla fine. Ecco come è detta dall’evangelista: «Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro».

Questa verità sta germogliando anche per noi come una promessa a cui nuovamente votarci, da cogliere e coltivare, da perseguire, da porre al disopra di ogni altra ragione individuale, sociale, culturale, economica, politica ed anche ecclesiale.

Nel racconto di oggi, proprio quando ci si imbatte nelle situazioni più dolorose e più difficili della vita, essa si impone come la prima verità, quella più elementare, quella che sostiene tutto il resto, quella che, alla fine – quando non se ne può più – si cerca accoratamente, si va addirittura a mendicarla. Ed è proprio quella che dobbiamo ritrovare per non perderci, per non illuderci, per non tradirci, per non farci morire…

È sorprendente come nel vangelo di oggi viene a noi riconsegnata. Le due sorelle dicono a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». Poco oltre Gesù confida ai discepoli: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo».

Poi nel momento in cui Gesù abbraccia tutta quanta la nostra umanità con le sue ferite e spaccature, di fronte a Maria che piange e così chi era con lei, egli – narra l’evangelista – «si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: “Dove lo avete posto?”». Non poteva che essere così: Gesù, interiormente scosso, cerca l’amico che la morte ha strappato. Non dimentichiamo che Gesù nelle sue parabole si era identificato con il pastore che lascia le 99 pecore e cerca quella perduta finché non l’abbia trovata (cfr. Lc 15,4). Aveva anche detto che nessuno avrebbe strappato dalla sua mano di pastore le sue pecore (cfr. Gv 10,27-28). Gesù sta cercando i nostri cari, coloro che in questi giorni ci hanno lasciato nella situazione drammatica di questa pandemia. Ci sta interrogando: «Dove li avete posti?». Poco dopo «Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: “Guarda come lo amava!”». Sì, Gesù ci chiede la domanda suprema della vita, quella dell’amore: «Li avete amati? Le vostre storie, le vostre vicende, le vostre iniziative, ciò che avete realizzato, i miti che avete perseguito, i vostri gruppi, le vostre associazioni, le vostre comunità, le vostre case, le vostre famiglie, le vostre città sono luoghi d’amore, dove – seppure con fatica e nell’umana fragilità – si costruiscono storie d’amore?».

Maria, l’Addolorata, da quando ha accolto e portato in braccio colui che poi attraverso la croce è diventato “risurrezione d’amore”, ci sta confidando che è questa la via della vita che fiorirà in risurrezione. Le due sorelle Marta e Maria ci testimoniano la stessa verità: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!».

Ed ecco Lazzaro: non ha una sua parola ma ci testimonia quella che lui ha udito dire da Gesù a coloro che lo accompagnavano: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Ecco dove porta l’amore!

Nel IV secolo, un Padre della Chiesa, Efrem il Siro, commentò così: Gesù «rese la vita a Lazzaro e morì al suo posto».

Maria, l’Addolorata, assieme alle due sorelle Marta e Maria e al loro fratello Lazzaro sono a suggerire a tutti i Lazzari che in questi giorni ci hanno lasciato, a chi li sta piangendo, agli ammalati di oggi e a ciascuno di noi: «Guarda come ti ama!».

Ricominceremo anche noi da questo amore?