Nelle esequie di Barbara De Lorenzo Gardinal

Omelia nelle esequie
14-04-2021

2Cor 4,14-5.1; Sal 22; Lc 23,44-46.50.52-53; 24,1-6a

Quando una mamma chiude la sua esistenza, la sensazione di essere orfani è intima e profonda. Essa tocca le origini e il fondamento del nostro vivere. “Figli” lo siamo prima di venire alla luce, prima di essere messi al mondo. Significa che la vita è donata, che la riceviamo in dono. La piccola parabola di Gesù che ben conosciamo – La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo (Gv 16,21) – evoca che cosa significa e comporta essere mamma. Della donna che partorisce Gesù dice: «È venuta la sua ora». E, dunque, mette tale generare in rapporto alla sua Pasqua. Poi ne parla in termini di luce che si accende e di gioia che si genera in un dolore. E il bambino che nasce è un dono dato al mondo.

Così raccogliamo i sentimenti dell’essere figli di d. Attilio e della sorella Mirta. Sono i sentimenti con cui esprimiamo nella preghiera lo stupore di essere stati – ciascuno – donati dai nostri genitori a questo mondo.

In quel dolore da cui si genera gioia c’è tutta la vicenda di Barbara. Ed è preludio della Pasqua. La vita terrena di Barbara si è compiuta nell’approssimarsi della celebrazione pasquale di quest’anno. La sua vita porta questo annuncio. Immaginiamo le sue sembianze tra quelle donne di cui ci ha parlato l’evangelista che vanno al sepolcro e lì sono raggiunte e sorprese dall’annuncio della risurrezione.

Due uomini in abito sfolgorante dicono alle donne accorse al sepolcro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto».

Nei tratti della vicenda di Barbara, ovunque possiamo riconoscere, il tracciato della Pasqua, il passaggio dall’esperienza del dolore alla generazione della gioia e della luce a cui siamo iniziati. Barbara ha conosciuto il dolore: pensiamo alla perdita del marito Arturo che aveva 51 anni e, poi, di due figli Franco (a 35 anni) e Mario (a 41 anni). Come sposa e come madre ha portato così anche il parto della loro morte.

Nel suo essere madre esprimeva questo mistero del dolore e della morte. Similmente a Maria, madre di Gesù.

Proprio per questo si rifletteva nel volto di Barbara e in tutta la sua persona anche la luce nuova della Pasqua. Era solare Barbara. Quando la si vedeva a passeggio o a fare la spesa affiancata a don Attilio – ma penso che si sia potuto vederla così anche accanto alla figlia Mirta – si riceveva dal suo sguardo un raggio della luce di Pasqua. Tutti coloro che sono stati da lei ospitati hanno potuto raccogliere affabilità oltre che a un buon cibo e a una buona bevanda che con arte preparava e faceva.

Si tratta di una Pasqua domestica, fatta di vita concreta. Anche la sua esperienza di lavoro nel mondo della scuola le hanno permesso di offrire questa dinamica pasquale nel suo essere e nel suo operare.

Incontrando il papa Giovanni Paolo II – oggi santo – a lui si è manifestata con lo stesso sguardo pasquale.

Mentre scrive ai Corinti, Paolo ci richiama che la grazia “accresce ad opera di molti”. Così anche ad opera di Barbara e questo fa abbondare la nostra gratitudine: «Tutto infatti è per voi, perché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l’inno di ringraziamento, per la gloria di Dio». Dallo stesso apostolo cogliamo questo invito: Non ci scoraggiamo, ma, se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno». Barbara ora – con tutto ciò che ricordiamo di lei – ci parla di questa nostra realtà umana interiore che si va rinnovando di giorno in giorno.

Al grazie dei figli uniamo il nostro grazie, ponendoci nel mistero pasquale che stiamo celebrando e che Barbara ha raccontato con la sua vita. Le parole di Paolo sono anche la voce di Barbara che nell’interiorità ci parla: «Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli».

La sua e la nostra preghiera, la preghiera di don Attilio, di Mirta, di tutti i familiari e conoscenti ora è un atto di fiducia, è un annuncio pasquale: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla».