Nelle esequie di don Antonio Perotto

Chiesa parrocchiale di Pieve d’Alpago
27-04-2018

At 11,1-18; Sal 41-42; Gv 10,1-10

«Una giornata limpida e meravigliosa circonda la canonica e le frazioni di Tignes e Paludi, come pure la maestosa conca dell’Alpago».

In queste parole, scritte il 10 gennaio scorso in una giornata di sole, don Antonio, “uomo arguto” e sempre vigile nella sua pungente ironia – come è stato scritto in questi giorni – ci manifesta anche una sua personalissima capacità di guardare la vita e di raggiungerla per vie di ammirata interiorità. Nell’animo di don Antonio c’era un serbatoio immenso di luminosa e concreta bontà. In questo spazio del cuore don Antonio ha collocato la comunità di Tignes.

Ha lasciato scritto così: «Ho trascorso tanti anni e tanti momenti felici a Tignes e Paludi, incontrando persone ammirevoli per generosità e umanità».

Nei giorni in cui la malattia si è manifestata, ci ha sorpreso la determinazione e la serenità con cui don Antonio ha guardato in faccia a questa fase della sua vita e del suo ministero. Venerdì scorso assieme al Responsabile di Casa 2 ho parlato a lui sulle condizioni del suo possibile rientro a Tignes. Aveva una fretta incontenibile. Doveva tornare a casa “sua”, tra i suoi. Attendeva questo momento come fosse per lui una meta da raggiungere.

In realtà era ormai giunta l’ora della sua Pasqua che aveva preparato e predisposto così come dal letto dell’ospedale e poi di Casa 2 continuava a preordinare l’attività della parrocchia. Mentre noi celebravamo la veglia pasquale don Antonio ha ripercorso la sua storia di salvezza e ha scritto questa pagina “sacra”:

«È la notte di Pasqua (1 aprile 2018) mentre scrivo queste note. I miei occhi sono umidi, ma gioiosi di avervi incontrato per la prima volta l’8 ottobre 1997. I vostri volti illuminati di amore, di umanità, di fede mi hanno sempre sostenuto in questi quasi 21 anni e sono riconoscente per tutto».

È davvero bello: don Antonio ci sta dicendo che la Pasqua di Gesù è una strada aperta, è una possibilità reale, è un dono sempre attuale. Anche nelle nostre comunità – non conta se piccole o grandi, se in valle o in montagna… – la Pasqua di Gesù ha aperto una storia sacra di vicendevole comprensione, di mutuo aiuto, di instancabile ospitalità, di coraggiosa accoglienza. Don Antonio ha toccato con mano questa accoglienza e questa cura soprattutto nella stagione della malattia.

Ed è questo il segno più reale della presenza del Risorto. Gesù ce lo ricorda con la commossa immagine appena ascoltata dal racconto evangelico che la Liturgia ha proclamato nel giorno della sua morte: «Il pastore chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti ad esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce».

Don Antonio ha raccontato questa parabola nel suo ministero pastorale. Non ha mai smesso di camminare tra le vicende della sua gente, nonostante la relativa infermità che lo aveva colpito, e di portare nelle case una benedizione infondendo coraggio e fiducia. Il suo passo rallentato era diventato un segno di profonda condivisione, un affetto intramontabile. Egli non ha mai smesso di sorprendere con i segni della sua gratitudine puntuale e concreta. Stupiva l’accorrere a lui di bambini e ragazzi. Nella piccola sagrestia della chiesa di Tignes sembravano sbucare da ogni angolo e lui, lì, in mezzo a loro, in un gioco che solo un nonno amatissimo sa fare. A volte non si capiva come il suo instancabile spirito di osservazione su eventi e persone si combinasse con la giocosità e l’affabilità dei suoi atteggiamenti e comportamenti. Si combinavano in lui, in un geniale intreccio, sentimenti diversi a volte apparentemente contrastanti.

Negli ultimi giorni, nell’eventualità del suo rientro in parrocchia, si pensava di poterlo festeggiare per i 50 anni di ministero presbiterale, accomunando questa circostanza con la messa di prima comunione. Sono le parole di Gesù con cui ha manifestato il senso della sua missione ad attraversare e motivare anche il ministero esercitato da don Antonio: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

Don Antonio è entrato, invece, in un altro programma di festa. Ha lasciato scritto: «La morte […] è soltanto un passaggio verso una giornata splendente di luce: la Risurrezione e l’incontro con il Gesù della vera vita».

Ancora una volta don Antonio ci parla di “una giornata piena di luce”.

È la medesima luminosità che traspare dal racconto di Pietro nella prima lettura: Dio ha dato lo stesso dono a tutti perché tutti «abbiano la vita!».

Grazie, don Antonio, per la “giornata splendente di luce” e per la “vera vita” che ci lasci come tua testimonianza e tua consegna.