Nelle esequie di don Davide Girardi

Cattedrale di Belluno
10-02-2020

1Re 19,7-13; Sal 84 (83); Mc 9,30-41

«“Esci e férmati alla presenza del Signore”. Ed ecco il Signore passò».

Sì, don Davide è uscito, si è fermato alla presenza del Signore. Sono le trepidanti parole – forse le più convenienti – che riusciamo ad ascoltare e a pronunciare, oggi, in questa celebrazione.

Per papà Giovanni, per mamma Gaetana, per la sorella Ester, per il cognato e amico Marco, per i nipoti Rosa, Letizia, Gemma e Tommaso, ma anche per noi tutti questi giorni non sono stati facili. Il cammino si è fatto, come per Elia, faticoso e buio. Ma ecco un tocco delicato dell’angelo del Signore suggerisce di non lasciarsi andare, di non abbandonare il cammino, ma di riprenderlo, di cercare ancora: «Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». Lo dice, in particolare, a voi familiari.

Anche per don Davide è stato così. Da giovane si era affacciato su mille strade a cercare il cammino della vita: a volte gli appariva promettente e luminoso, a volte tornava ad essere sfumato e incerto. E lui, ancora a tentare, ad avvicinare nuove strade. L’esperienza scout lo affascinò, gli insegnò che sulla strada si apprende e si assume la vita. Ma ecco – come per Elia nel racconto che abbiamo ascoltato – «gli fu rivolta la parola del Signore […]: “Che cosa fai qui?”».

Con la commozione di un dialogo sincero, fraterno, mai interrotto che ho ricevuto in dono da don Davide – da quando lo conobbi – posso testimoniare che questa domanda rivolta ad Elia, era anche nel suo animo: «Che cosa fai qui, Davide?». L’aveva dentro, nel suo cuore che improvvisamente ha ceduto. La viveva e la soffriva ovunque. La portava nella sua preghiera. Era con lui in ogni incontro e relazione. Lo abitava durante le sue stagioni di silenzio, come pure nei suoi spostamenti di luogo in luogo, di persona in persona. Anche negli ultimi tempi don Davide ha avuto il coraggio di ascoltare ancora questa domanda e di intrattenersi con essa.

Noi siamo qui oggi a dirci – gli uni gli altri – che lungo le strade, in cui abbiamo incontrato e conosciuto don Davide, egli si è accostato a noi donandoci quello che anche lui cercava nel Vangelo e nell’incontro con Gesù; quello, poi, che ha cercato di esercitare nel ministero. L’evangelista narra che per la strada – mentre Gesù insegnava – i discepoli «discutevano chi fosse tra loro il più grande». Ma, ecco, la novità che indica e offre loro Gesù: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». Quante volte, in mille situazioni, avendo avvicinato molti ragazzi, giovani e adulti, don Davide si è collocato sulla scia di Gesù: non ha voluto essere il primo, non ha rivendicato posizioni particolari, né privilegi, né meriti. Anzi ha pagato di persona il suo farsi servitore di tutti.

È un’umile ma bellissima pagina del Vangelo quella che lui ha cercato di vivere e di condividere. La sua vocazione e il suo particolare ministero esercitato in seno a Nuovi Orizzonti – qui rappresentato da don Sergio e dagli amici di Cittadella Cielo di Vena D’Oro – non ambivano a un titolo di gloria, a una collocazione di potere, a una superiorità di condizione di vita, ma si radicavano nelle parole disarmate, cariche di guarigione e portatrici di risurrezione che il Vangelo non smette di affidarci.

«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me»: attraverso questa confidenza di Gesù, noi comprendiamo ciò che è stata la più profonda vocazione a cui don Davide non ha smesso di aprirsi e donarsi.

Ho un ricordo particolare. Nell’agosto del 2016 don Davide venne con me in visita alla missione di Gaya in Niger, dove svolgeva il ministero don Augusto. Si programmò una traversata del fiume Niger in piroga. C’era anche don Robert. Appena immessi in fiume mi accorsi che dalle fessure della piroga entrava acqua. Don Davide sorridente prese un piccolo recipiente che era lì a disposizione – dalla capienza di un bicchiere poco più – raccoglieva l’acqua che entrava e la ributtava nel grande fiume: un piccolo quasi insignificante gesto – la quantità di un bicchiere a confronto di un grande fiume – ma era una piccola “salvezza” con cui voleva contribuire alla navigazione.

«Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome […] non perderà la sua ricompensa», ha detto Gesù, oggi anche sulla vita di don Davide, che ha disseminato innumerevoli “bicchieri d’acqua”: un umile e piccolo gesto che sparge quell’Amore grande che salva.

È simile al «sussurro di una brezza leggera» che fa percepire ad Elia il passare di Dio, rispetto al vento impetuoso e gagliardo, rispetto al terremoto e al fuoco di un certo zelo religioso che in realtà può essere vuoto di Dio.

Davide, «Che cosa fai qui? […] Esci e férmati alla presenza del Signore».