Alla Messa del Crisma

Cattedrale di Belluno - vigilia di Pentecoste
30-05-2020

Is 61,1-3a.6a.8b-9; Sal 88 (89); Ap 1,5-8; Lc 4,16-21

All’inizio della settimana, il Vangelo di Giovanni riportava queste parole di Gesù: «Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo».

Mi chiedevo: «Ma davvero può succedere questo? Disperderci tra noi e lasciarlo solo?» (Gv 16,32).

La parola di Gesù ha fatto, poi, un affondo ulteriore: «Nel mondo avete tribolazioni» (Gv 16,33).

Sì, queste parole sono anche esperienze concrete che abbiamo sentito e visto; raccontano storie vere che ci hanno raggiunto nei giorni più bui della pandemia. Forse anche racchiudono situazioni che alcuni di noi stanno attraversando.

Ma, ecco, c’è un olio che lenisce, che rimargina, che sana, che consacra. Gesù alle parole di turbamento aveva aggiunto: «Ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. […] abbiate coraggio: io ho vinto il mondo» (Gv 16,32-33).

Abbiamo bisogno di tale rassicurante parola, di portarla nella nostra vita, di condividerla con i compagni di viaggio, di tenerla viva nelle nostre case e nelle nostre comunità: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21).

Raccolgo dal Consiglio Pastorale Diocesano questa testimonianza: «Nel mese di marzo ho seguito, come tutti, con molta preoccupazione l’esplosione della pandemia. Sembrava un pericolo lontano e invece… La forza con cui la pandemia ha coinvolto tutti ha scombussolato ogni cosa: programmazioni, lavoro, scuola, relazioni, vita ecclesiale. In tanti momenti mi sono sentita impotente e dispersa, privata di sicurezze e abitudini, paralizzata dalla paura di ammalarmi. La testimonianza, però, dei molti che si impegnavano per aiutare rischiando anche la propria vita mi ha portata a domandarmi: “E io che cosa posso fare per gli altri?”. Così ho dato la mia disponibilità ad andare dove c’era bisogno. Ho vissuto un’esperienza forte ed intensa. Spero di non dimenticare quello che ho imparato».

Noi presbiteri, che oggi rinnoviamo le promesse fatte nell’ordinazione, siamo grati – tanto grati! – di appartenere a questo popolo sacerdotale che sono le nostre comunità: popolo sacerdotale costituito – come abbiamo ascoltato nei versetti iniziali dell’Apocalisse – da «Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue» (Ap 1,5).

L’olio che oggi benediciamo e consacriamo e i sacramenti che lo utilizzeranno sono nelle nostre mani di discepoli – mani tremolanti, segnate dalla fatica e con tante escoriazioni – per quell’unzione d’amore con cui «portare il lieto annuncio ai poveri», «fasciare le piaghe dei cuori spezzati», «proclamare ai prigionieri la liberazione», «rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore».

In questi giorni in cui si compie il tempo della Pasqua per portarci all’effusione dello Spirito, il nostro cammino incerto e timoroso è stato illuminato dal racconto che conclude il Vangelo di Giovanni. Proprio ieri ci ha portato sulle rive del lago di Tiberiade. Tutti noi, discepoli del Signore – preti, laici, persone di vita consacrata, famiglie, giovani e anziani… – siamo nel luogo della nostra chiamata. Siamo lì mentre Gesù ha una premura che ci sorprende: «Venite a mangiare». In questa sua vicinanza – anzi intimità che solo lui sa accendere – ci raggiunge il suo sguardo che incontra i nostri occhi un po’ smarriti e, in un attimo solo, ci porta alla verità più profonda di noi stessi, chiedendoci: «Tu mi ami più di costoro?».

La sua domanda non smette: c’è una seconda volta, una terza e poi ancora – potremmo dire – fino a settanta volte sette: «Mi vuoi bene?».

Quante volte abbiamo dirottato altrove, ci siamo svincolati dalla domanda intrigante dell’amore, abbiamo preferito ignorarla o nasconderci ad essa…

Giorno dopo giorno, passando attraverso la nostra fragilità, scopriamo che la Pasqua del Signore ci porta alla disarmata confidenza di Pietro: «Signore, tu sai che ti voglio bene». È il suo e nostro tendere le mani, il suo e nostro lasciarsi condurre. Non c’è Pasqua senza questo passaggio d’amore: «Chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio» (1Gv 4,7).

Ogni unzione nella Chiesa è olio d’amore che guarisce, che incoraggia, che rafforza, che consacra, che innesta la storia del discepolo in quella del suo Maestro, come un tralcio nella vite. L’unzione descrive anche ogni scelta e storia d’amore. Chi compie un’unzione si china, cerca la ferita, la guarda e la esplora con tenerezza, la protegge con tocchi lievi e premurosi, si avvicina, la sfiora per liberarla e pulirla, poi la ristora, la raddolcisce, le comunica sollievo, la destina alla vita.

Ecco può essere la nostra storia che si rigenera anche ora dopo i giorni difficili vissuti.

Nella sua Prima Lettera Giovanni ci dice: «E quanto a voi, l’unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi» (1,27).

Mi piace concludere ancora con le testimonianze raccontate in Consiglio pastorale: «Mi sento interpellato come persona e come comunità: sono e dovremo tentare di essere quella piccola luce che tiene viva la speranza, che combatte la disperazione. È il momento in cui possiamo dire a Dio: sì, ci posso provare e mostrare che quello che faccio viene dalla vicinanza che cerco con Te».

Lo Spirito Santo continui ed estenda la sua unzione!

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All’inizio della celebrazione

C’è uno sguardo di gratitudine in tutti noi qui raccolti, ma -immaginiamo – in tutti coloro che sono uniti a noi attraverso Telebelluno e la pagina Facebook de L’amico del Popolo. Questo sguardo ci permette di non sentirci soli, di scoprirci in cammino e accompagnati dalla presenza del Risorto: «Io sono con voi tutti i giorni», ci ha rassicurato nel Vangelo di domenica scorsa, solennità dell’Ascensione. Siamo qui come suoi discepoli, tutti a formare, come ascolteremo nell’Apocalisse: «Un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre». È un’eucaristia di esultanza e di gratitudine.

In mezzo a questo popolo sacerdotale ecco anche i presbiteri che rinnoveranno le loro promesse fatte il giorno dell’ordinazione. Sì, c’è tanta gratitudine per i nostri preti, vorrei raccoglierli in un abbraccio che va dal più avanti negli anni, il nostro don Mario Carlin – 98 anni compiuti! – e il più giovane di ordinazione don Diego Puricelli.

Tra loro un pensiero particolare al Vescovo Giuseppe e ai festeggiati:

Anniversari di ordinazione

60mo: Flavio Del Longo, Attilio Giacobbi, Sergio Sacco, Rinaldo Sommacal

50mo: Paolo Arnoldo, Virginio De Martin, Renato De Vido, Giuliano Follin, Valerio Maschio, Virgilio Pante (Vescovo)

Nell’abbraccio della nostra preghiera vi sono tutti i presbiteri che sono a Casa Kolbe, accanto ai religiosi lì ospitati e ai preti nelle altre case di soggiorno o nella propria casa. Una preghiera a chi da qualche giorno è stato dimesso dall’ospedale: don Francesco Silvestri.

Infine una memoria riconoscente per i presbiteri e vescovi deceduti dal Giovedì Santo 2019: MURER ALFREDO, Vescovo PIETRO BROLLO, GIRARDI DAVIDE, D’AGOSTINI BERNARDO