Nelle esequie di don Elio Larese

Cattedrale di Belluno
22-03-2021

INTRODUZIONE

Un’altra Eucaristia di consegna, di offerta, di ringraziamento, di nutrimento e rigenerazione. Nel pane e nel vino con il dono di Dio vi sono la nostra terra, la nostra vita, il nostro lavoro. Oggi è la vita e il ministero di don Elio a richiamarci questa “nuova alleanza” nel corpo e nel sangue di Gesù morto e risorto: Dio “misericordioso e buono” e noi “mendicanti di amore”. Il presbiterio, il vescovo Giuseppe, la comunità del seminario, la scuola del Lollino con i familiari di d. Elio sono grati di questa Eucaristia che condividiamo.

 

OMELIA

Col 3,12-17; Sl 84; Mt 51-16

Otto giorni fa eravamo qui a dare l’ultimo saluto a un confratello di don Elio: il nostro caro don Giovanni Unterberger. Confratelli anche nell’ultimo squarcio di vita. Hanno condiviso la stessa croce di sofferenza. Gesù ieri, con il suo Vangelo, ci ha detto: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Due chicchi – di grano squisito – seminati, coltivati e raccolti da colui che è anche il seminatore, il quale si è dato a noi per primo, cadendo a terra, morendo e producendo molto frutto: «E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32).

È vero, a noi sono mancate le ultime parole da scambiare con loro, gli ultimi sguardi con cui corrispondere alla loro affabilità, l’abbraccio della gratitudine in cui riconoscere quanto da loro ricevuto. Ma il Signore della vita non li ha lasciati morire: li ha “innalzati da terra” e, in un generativo atto d’amore, li ha attirati a sé, immergendoli in una comunione più vasta e più profonda di quanto avremmo voluto trattenere. La parola di promessa pronunciata da Gesù ora tocca, risana e risveglia anche la nostra fede che piange e invoca. Ecco la sua parola: «Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà» (Gv 12,26).

Sì, Gesù ha amato il nostro caro don Elio fino all’incandescente chiamata a partecipare pienamente alla sua Pasqua. Come ci avverte Gesù, don Elio è per questo “onorato dal Padre”. Anche noi tributiamo, pur con il cuore affranto, tanto onore a don Elio. In lui abbiamo riconosciuto una dolcezza smisurata, una pazienza che non si esauriva, un’amicizia sempre pronta a raccogliere una domanda, un sentimento, una fatica, una confidenza, un’attesa, un aiuto, anche in elemosina. In questi giorni, qui, la sua mancanza fisica ha prodotto tanto vuoto del cuore. Non è venuto meno solo il suo leggiadro canto. Dopo ogni celebrazione don Elio, percorreva le navate della cattedrale, lungo le quali già qualcuno lo avvicinava, e lui si consegnava per un ascolto che gli sgorgava dal cuore, senza imporsi, scevro di protagonismo. Nulla di eclatante in questo suo protendersi verso le persone. Così giungeva sul sagrato della Cattedrale, dove si poneva accanto a chi lo attendeva e lì indugiava nel suo mite offrirsi, conoscitore com’era dell’esperienza di sofferenza e di malattia, avendole attraversate personalmente e in famiglia. Viene proprio da pensare che il suo ministero pastorale sia rappresentabile dal luogo del sagrato, uno spazio aperto, per tutti, per delle relazioni diventate importanti, fuori dell’ufficialità, sulla soglia del tempio e sulla soglia delle coscienze e dei cuori. Lui stesso è diventato terreno di incontro. Su quel “suo” sagrato egli intendeva introdurre e prolungare l’azione liturgica a cui si dedicava con assiduità, infondendo un senso di nobile sobrietà. Durante le celebrazioni, il suo posto e lo spazio di azione erano qui accanto, un po’ da parte, ma lui era vigile e pronto. Non si imponeva da protagonista, ma il suo stile si espandeva e caratterizzava il nostro celebrare. Nel canto ha dato se stesso. La sua voce, sempre impostata, aveva un che di soffuso per non invadere, per non sovrastare e solo per servire. Intendeva coinvolgere le persone, era lui “l’angelo custode” delle nostre assemblee liturgiche. È bello pensare che, mentre svolgeva questo servizio liturgico, don Elio stava intessendo tanti fili di relazione, come un tessuto che non appare e che ora brilla di una limpida bellezza. Ci ha detto Paolo nella Lettera ai Colossesi: «La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori». Sì, don Elio ci ha testimoniato e ci ha istruito a “cantare a Dio nei nostri cuori”.

Inoltre, con questa sapienza del cuore, don Elio ha riversato il massimo della sua persona e delle competenze acquisite nel mondo della scuola. Possiamo dire che generazioni di studenti e di colleghi insegnanti hanno potuto gustare il sapore del “sale della terra” e hanno ricevuto un’illuminazione dalla “luce del mondo” a cui si riferisce Gesù considerando i suoi discepoli. In quante famiglie, in quante situazioni di vita conosciute e incontrate da don Elio, è giunto un po’ di questo sapore, un po’ di questa illuminazione! Il Lollino a cui don Elio si è dedicato pienamente, resta insaporito di questo suo essere “sale della terra” e resta colorato di questo suo essere “luce del mondo”.

Ora noi, in questa Eucaristia, ci poniamo alla sequela e alla scuola di Gesù, “salito sul monte”. Avvicinati a lui, possiamo cogliere l’annuncio, la promessa, il dono, la via, lo stile di quel “beati”, da lui pronunciato tante volte, e di cui la vita, il ministero, l’insegnamento, l’amicizia, l’intelligenza, il canto di don Elio sono eco.

A voi giovani studenti, insegnanti, confratelli del presbiterio, genitori, familiari e conoscenti, a tutti voi che avete incontrato don Elio è stato donato “un chicco di grano” di queste beatitudini che porterà il suo frutto.