Nelle esequie di don Francesco Zanderigo

Chiesa parrocchiale di Casamazzagno
01-12-2017

Dn 7,9-10;13-14; Salmo respons. (Dn 3,82-87); Gv 1,35-42

Era il più anziano nel nostro presbiterio, la parte più antica di noi. Proprio come l’apostolo Andrea, che ha preceduto il fratello Pietro nell’incontro con Gesù, don Francesco ha ricevuto il dono della chiamata alla vita e ad essere discepolo prima di noi.

Quanta conoscenza di Gesù ha potuto fare, anticipando il nostro incontro con lui!

Immaginiamo don Francesco precederci e comunicarci: «Abbiamo trovato il Messia». Le parole di Giovanni Battista – «Ecco l’agnello di Dio!» – lo hanno raggiunto prima che giungessero a noi.

C’è qualcosa di misterioso e meraviglioso in questo “passa parola” da discepolo a discepolo. L’evangelista narra che Andrea «incontrò per primo suo fratello Simone […] e lo condusse da Gesù». C’è una fraternità generata dalla parola più bella e più commovente della fede: «Abbiamo trovato il Messia».

Ci stupisce ora questo tempo così lungo della storia di don Francesco: poco meno di un secolo! Forse in questi ultimi anni del suo appartarsi nella casa “Padre Kolbe” di Pedavena non ci abbiamo pensato. In realtà, dall’umile e semplice osservatorio della sua vita e del suo ministero, ha visto un mondo di persone, di vicende, di eventi, assistendo a innumerevoli trasformazioni.

Proprio lui, don Francesco – uomo e prete proveniente da queste alte terre del Comelico Superiore – oggi il Signore sembra indicarcelo come testimone di un tempo complesso che ha generato un “cambiamento d’epoca”. Don Francesco lo ha attraversato; ha resistito a tutte le intemperie; ha accettato di stare nella sua personale verità, esprimendola nel ministero e nei servizi che ha reso in parrocchia, tra gli anziani e ammalati e nel lavoro – poco gratificante – di curia.

Io non ho potuto entrare nel vasto panorama dei suoi ricordi, ma ho presenti due piccole scene che ora rivedo con simpatia.

In una mia visita alla casa dove era ospite sono giunto fuori orario nell’ora del riposo pomeridiano. La porta di ingresso non si apriva. Lui comparve all’interno e cominciò a gesticolare, articolando velocemente le braccia e la testa. Riconobbi una sua originale vivacità. Immagino che abbia sempre saputo affrontare così le situazioni della vita e del ministero.

E, poi, nell’ultima degenza all’ospedale di Feltre, il giorno prima dell’intervento chirurgico, rimasi per un po’ nella sua stanza. Non smise un attimo di parlare e di muovere le braccia: mi sembrò come un cantastorie con un’infinità di cose da raccontare e da decodificare…

Noi oggi guardiamo con ammirazione e con riconoscenza a questo “scrigno di vita”, fatto di una vicenda umana lunga 98 anni.

Non si può ragionare su una storia di umanità, di fede e di ministero, così come è stata la sua vita: si resta semplicemente stupiti e se ne riceve un incoraggiamento di fiducia e di autenticità.

Ci viene spontaneo, guardando a questo nostro confratello, a questo vostro familiare e paesano, esprimere parole di invito alla benedizione, come quelle già pronunciate nel salmo responsoriale:

«Benedite, sacerdoti del Signore, il Signore.

Benedite, spiriti e anime dei giusti, il Signore.

Benedite, santi e umili di cuore, il Signore».

In questi giorni, dopo la celebrazione di Cristo Signore dell’universo e della storia – similmente al profeta Daniele che abbiamo ascoltato nella prima lettura – è proprio il nostro carissimo don Francesco a consegnarci la visione scaturita dalla sua esperienza di fede. Non solo sembra dirci: «Abbiamo trovato il Messia», ma anche: «Ecco venire uno simile a un figlio d’uomo […] tutti i popoli, nazioni e lingue lo servono […] il suo regno non sarà mai distrutto».