Nelle esequie di don Giuseppe Peterle

Chiesa parrocchiale di Limana
06-11-2018

Fil 1,18b-26; Sal 41; Lc 14,1.7-11

Alla luce del Vangelo appena proclamato, potremmo immaginare don Giuseppe posizionato all’ultimo posto, a motivo dei suoi 98 anni compiuti. Per il nostro presbiterio è il traguardo di età più avanzata: una posizione quasi da “fuori corsa”…

A lui, nel giorno in cui questa conta degli anni si è arrestata, il Vangelo ha riservato l’unica parola che vale nel momento estremo dell’esistenza: «Amico, vieni più avanti!». Il Vangelo avverte: «Ne avrai onore davanti a tutti i commensali».

Suggerendo “l’ultimo posto” il Vangelo ci scombina, ci chiede di entrare in un’altra visione: «Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». Dalla vicenda umana di don Giuseppe, dal suo credere e dal suo ministero potremmo raccogliere proprio questo avvertimento: «Non metterti al primo posto!». Probabilmente questo richiamo evangelico gli era connaturale, lo aveva ponderato nei suoi passaggi di vita e di ministero.

Ci eravamo come abituati ai suoi lunghi tempi, così lineari, sempre eguali, nella Casa Sollievo che dal 1992 lo ospitava, assistito con amorevolezza innanzitutto da Rosy, sorretto dalla fraternità presbiterale di don Ottorino che ogni giorno gli donava sprizzi di antica freschezza, nella compagnia di tanti altri ospiti, e visitato da familiari e paesani.

Questo risvolto domestico della vita di don Giuseppe, svela anche un singolare tratto umano del ministero: un vivere da fratello tra fratelli, in una pacifica condivisione appresa giorno dopo giorno, in particolare nella condizione di anzianità e di infermità.

Quando sabato 27 ottobre ho visitato don Giuseppe, egli era a letto – non si era alzato quel giorno – ed era già assopito. Eppure subito si è destato, si è reso partecipe. Trapelava nel suo volto una serenità che lo faceva sorridere con qualche accenno di lieve battuta. Non so se sia sempre stato così, ma immagino che lo sia diventato passando per stagioni di vita in cui egli si è potuto misurare con la fragilità della sua persona e della sua salute. Posso inoltre immaginare come dagli inizi del suo ministero, egli abbia cambiato atteggiamenti, pensieri, modalità della sua azione pastorale. Ma quei sorrisi e la bonarietà che ispirava mi hanno trasmesso una sensazione di tranquilla arrendevolezza che il salmo responsoriale ha rappresentato con l’immagine della cerva che anela ai corsi d’acqua.

Dall’ “ultimo posto” dei tanti anni di vita ora possiamo raccogliere dalle stesse parole bibliche il dono di umile fiducia e di fragile speranza con cui don Giuseppe si congeda e si racconta: «Avanzavo tra la folla, la precedevo fino alla casa di Dio, fra canti di gioia e di lode di una moltitudine in festa».

Nel “santino” che ricorda i 70 anni di ministero presbiterale, festeggiati il 4 luglio scorso, accanto al nome di don Giuseppe è riportata la preghiera di Gesù: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra».

Siamo grati a don Giuseppe per questo approdo di semplice serenità e di limpida lode con cui ha retto fino alla fine. Era il suo modo di concelebrare l’Eucaristia con don Ottorino nella casa in cui era ospite e che aveva dapprima servito come cappellano, ma era anche il ritmo dei suoi giorni. Era diventato così anche il suo animo.

Vogliamo pensare che l’affettuosa lettera che Paolo ha scritto ai Filippesi possa essere anche la confidenza rassicurante che don Giuseppe ci dona e con cui ci incoraggia. All’apostolo sta a cuore che Cristo sia annunciato. Di ciò si rallegra. E aggiunge: «So infatti che questo servirà alla mia salvezza, grazie alla vostra preghiera e all’aiuto dello Spirito di Gesù Cristo, secondo la mia ardente attesa e la speranza che in nulla rimarrò deluso; anzi nella piena fiducia che, come sempre, anche ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo». Nel corpo dei 98 anni di don Giuseppe Cristo è glorificato!