2Pt 3,11b-15a.17-18; dal Salmo 89; Mc 12,13-18
«Signore, tu sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione». È stata la nostra invocazione accorata a Dio nel Salmo appena pregato.
“Di generazione in generazione”: a voi familiari la nostra affettuosa vicinanza di preghiera; alla moglie Laura, alla figlia, al nipotino: “di generazione in generazione”. Rinaldo ne era fiero: la gioia del nipotino gli sussultava dentro.
E, poi, a voi cittadini di Canale d’Agordo e all’Amministrazione comunale la partecipazione di preghiera da parte della comunità parrocchiale con d. Mariano, ma poi anche di tutta la comunità diocesana che con il vescovo Giuseppe intendiamo rappresentare.
Ci ha tutti sorpresi questa uscita di scena del carissimo sindaco Rinaldo. Molti di noi l’anno saputa il giorno in cui si festeggiava in questo nostro Paese la Repubblica.
«Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio»: abbiamo ascoltato questo detto di Gesù poco fa dal Vangelo che la Liturgia oggi ci ha offerto. Non abbiamo scelto noi questa pagina. Anche questa Parola così puntuale e appropriata ci sorprende. Gesù ci induce al fondamentale atto di giustizia che nella nostra vita, nei rapporti familiari e amicali, nella professione, in ogni assunzione di incarico pubblico ci permette di attraversare il guado dell’esistenza. Questo rendere a ciascuno ciò che gli si addice è il coraggio di riconoscere la dignità dell’altro, di ogni altro e di operare perché così avvenga.
Ho avuto l’opportunità di incontrare e conoscere il carissimo Rinaldo. La maggior parte di queste circostanze era legata alla vicenda di santità di “don Albino”: chiamava familiarmente così Giovanni Paolo I. L’affabilità di Rinaldo era percepibile immediatamente. Nell’avvicinarlo, mi accorgevo che la sua rilevante statura si protendeva e un po’ si inchinava per venirti incontro. Penso fosse il suo spontaneo atteggiamento del cuore: in questi giorni circolava questa bella immagine di lui: “un sindaco buono”. È il “rendere a Cesare ciò che è di Cesare”.
Qualsiasi di noi, quando si espone in un ruolo di responsabilità pubblica, tocca con mano quanto sia complesso e a volte indistricabile tale impegno. È stato così anche per il sindaco Rinaldo.
Per fede personale, poi, gli veniva naturale anche “rendere a Dio ciò che è di Dio”. Questo suo “rendere a Dio” non era nascosto. Ne era convinto. Penso che la parola di Pietro apostolo che abbiamo ascoltato, esprima la sorgente a cui tutti, nel difficile nostro vivere, vorremmo attingere: «La magnanimità del Signore consideratela come salvezza». È immediato pensare che l’ammirazione e l’affetto che Rinaldo ha nutrito per “don Albino” avessero i tratti di questa ricerca e sete di “magnanimità del Signore”. Il nostro “rendere a Dio ciò che è di Dio” non è un pagare Dio, ma un cercarlo in verità.
Ci piace ora accostare al ricordo di Rinaldo la fiduciosa dichiarazione dell’Apostolo: «Noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali abita la giustizia».
Immagino voi, sua famiglia – in questo suo fine mandato di Sindaco – avete raccolto le sue attese, accudito le sue fatiche, custodito le sue preoccupazioni. Nel salmo, in tutta verità e in sapienza di vita, abbiamo pregato: «Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, e il loro agitarsi è fatica e delusione; passano presto e noi voliamo via». È una preghiera che si impara vivendo. Immagino che così sia avvenuto per Rinaldo.
Considerando il seme delle cose buone da lui cercate, sospirate, attivate, intuiamo la fede con cui ha attraversato le impegnative stagioni della sua vita e che possiamo riconoscere nelle parole finali del salmo: «Saziaci al mattino con il tuo amore: esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni».