Eb 2,14-18; Sal 104; Mc 1,29-39
Mercoledì scorso è giunta in velocità la notizia che don Maurizio non stava per nulla bene. L’unzione degli infermi celebrata da don Fabio, in quella mattinata, ha predisposto don Maurizio al passaggio finale. In quel giorno il Vangelo ci ha raccontato di Gesù in casa di Pietro. Gli hanno riferito che la suocera era a letto con la febbre. L’evangelista narra che Gesù le si avvicinò, la prese per mano e la fece alzare. È questo il racconto che possiamo fare delle ultime ore vissute da don Maurizio nella sua casa: l’unzione ricevuta gli ha fatto percepire in profondità la vicinanza di Gesù. E poi quel prendere per mano che è il mistero del Natale che abbiamo celebrato e rappresenta il vincolo d’amore che ci unisce sempre a Lui. In quell’essere presi per mano vi è l’atto creatore di Dio. Quella stretta di mano è il suo soccorrerci e il suo sostenerci. E poi quel “fece alzare” con cui Gesù dischiude a noi il mistero della sua pasqua e, in particolare, della sua risurrezione.
Con sobrietà di tratto, con discrezione di parole e di gesti, don Maurizio nel suo ministero ha potuto donare questi gesti di vicinanza che cura, di amore che consola, di vita che rialza a tutti coloro che ha incontrato nelle comunità dove ha svolto il suo ministero. In questi ultimi tempi – da quando don Maurizio è tornato nella sua Danta – egli è salito quassù, come ad esprimere una leggerezza che ha connotato tutto il suo ministero. Egli si è sempre rivestito di silenzio, anzi lo cercava e in esso stava bene. Si combinava con il suo sorriso contenuto, carico di uno sguardo di conoscenza interiore e profondo.
Era il suo modo di essere e anche di rapportarsi con ognuno. Il ritmo di fedeltà e l’attaccamento quotidiano con cui ha svolto il suo ministero sono scritti nel cuore delle comunità a cui è stato inviato.
Quello che è detto di Gesù, nella lettera agli Ebrei proclamata come prima lettura, don Maurizio lo ha portato sulla propria pelle, nel suo stile semplice e fedele di svolgere il ministero: «Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio». Quando si è trattato di sollevarlo dall’impegno diretto di parroco, a motivo del suo stato di salute più precario, mi aveva colpito il suo attaccamento affettivo e spirituale alla comunità di Campolongo che portava nel cuore. Sì, possiamo dire: «In tutto simile ai fratelli». Quella piazza tra la chiesa di Campolongo e la canonica era uno spazio di attaccamento alla gente, di cura pastorale, di missione, di preghiera, di sguardo d’amore: «Tutta la città era riunita davanti alla porta».
Le parole mai eccessive che don Maurizio pronunciava avevano sapore evangelico: dette con precisione e misurate, veicolavano incoraggiamento e fiducia.
Si sentiva corrisposto, sostenuto dalla popolazione. Quando ci si preoccupava per il suo stato di salute trapelava questo sentirsi accudito e aiutato. Aveva parole buone e di fiducia nei confronti della sua gente. Si sentiva in pace con essa.
Ho un ricordo particolare della prima visita che gli feci. Si doveva salire da Campolongo a Costalta. Riteneva che quella salita fosse impegnativa. Dunque salii con lui. Guidava la sua Panda. Compresi in quel tragitto e da come guidava e affrontava le curve la consapevolezza con cui si donava e si spendeva nel ministero. Si è fatto carico lui della guida, come tante volte voi sue comunità avete avvertito e sperimentato che si faceva carico di tante situazioni di vita che ha portato nel cuore, nei sui pensieri, nella concretezza della sua carità.
Ora è bello rivisitare la sua ultima stagione di vita, nella comunità di Danta, accompagnato dai familiari e da persone che gli sono stati fianco a fianco, con le parole e gli eventi riportati nel Vangelo proclamato: «Al mattino presto si alzò quando era ancora nel buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava».
In questa ultima fase di vita don Maurizio ha continuato così il suo ministero, continuando a vivere, con la preghiera, nel cuore delle comunità a cui è rimasto legato.