«Non passa giorno che non debba rispondere a mail: Filippine, Brasile, Messico soprattutto. Per fortuna c’è Google Translate e così riesco a rispondere! Chiedono reliquie, che non si possono concedere per il momento». Lo racconta don Davide Fiocco, direttore del Centro Papa Luciani di Col Cumano, a Santa Giustina. Dopo la notizia del miracolo, ufficialmente attribuito a Papa Luciani, si è ancor più acceso l’interesse dei devoti di tutto il mondo per Giovanni Paolo I. «Si assiste a questo bisogno del popolo di Dio di “toccare”, di avere qualcosa di questo prossimo Beato». Il papa bellunese sarà proclamato Beato il prossimo anno.
Interesse e devozione che, comunque, ci sono sempre stati. «Io sono di Canale d’Agordo» – racconta don Davide – «ne posso dare testimonianza personale, per 43 anni della mia vita, dal 26 agosto del 1978. Io abitavo sulla strada che porta alla casa di Papa Luciani e vedevo. E posso dire non è mai venuto meno l’afflusso di persone che vengono a vedere, a toccare, a cercare una concretezza in questo luogo che ha dato i natali al mio – scusate – più illustre concittadino».
«Ecco, questo mi colpisce e deve essere anche inteso in senso corretto e positivo, va valorizzato molto quello che vediamo», replica a don Davide il vescovo Renato Marangoni. Il dialogo è stato colto dall’Amico del Popolo lunedì 18 ottobre in Vescovado a Belluno, all’aperto, affacciati sul Piave e con la vista sul duomo. «Qui dove tutto è segno di altro, tutto ha un valore – noi diciamo, con una parola un po’ così – tutto ha un valore sacramentale, perché rimanda ad altro», riflette il Vescovo. «Questa attenzione verso Papa Luciani, i luoghi, le parole che lui ha detto, la casa, il paese tutto questo ha valore sacramentale e deve lasciare un’apertura verso la figura di Albino Luciani, verso la sua testimonianza di vita. E poi deve lasciare un’apertura più grande: verso Dio. Tutto è portatore di Dio, del mistero di Dio attorno a noi. Da parte nostra, come Chiesa, c’è la volontà di valorizzare tutto questo, di intenderlo in questo senso e di favorirlo».
La figura di Papa Luciani sempre più presente, dunque, in questa nostra terra. Anche per le persone non “di chiesa”, per ciò che può dire e significare a tutti. «Il sindaco del mio paese Flavio Colcergnan mi colpisce», svela don Davide Fiocco, «perché attesta pubblicamente il suo essere uomo “in ricerca”, si dichiara agnostico, però la sua passione per Luciani è incredibile, è fortissima. Mi colpisce che una persona che non è “di chiesa” abbia questa attenzione verso una persona che, insomma, è morta ormai 43 anni fa».
«Oh può sorprendere, ma non mi sorprende!», coglie la palla al balzo il Vescovo, «perché è questo lo scopo del nostro essere Chiesa: non siamo qui per autocelebrarci, per celebrare qualcosa che abbiamo ricevuto solo noi. E penso che non dobbiamo neanche “organizzare” questo rapporto, lo dobbiamo invece “liberare”, permettere che sia spontaneo, perché il bene è diffusivo per se stesso e far diventare la Chiesa un bene diffusivo è compito di tutti. Io posso raccontare di me: è molto quello che ho ricevuto da persone che sembrano, diciamo, per alcuni aspetti non essere parte della stessa esperienza di fede; in realtà c’è qualcosa di più profondo, c’è un’apertura alla vita, un senso alla vita che ci accomuna moltissimo e che rende vicine molte nostre storie. Questa è la mia sensazione. E Luciani, per il suo modo di essere, di fare, di operare mi pare che giochi bene questa partita!».
Don Davide “gira” al Vescovo una domanda che gli è stata posta: come si prega Papa Luciani, come si implora il suo aiuto? «Beh io non conosco le regole del Paradiso!» – scherza il Vescovo – «quali norme circolino lì. Penso che l’atteggiamento da tenere sia davvero la carità, l’amore. L’intercessione di un fratello come Papa Luciani, che ha dato la sua vita nel ministero nelle forme e nelle modalità che gli sono state chieste dalla Chiesa, credo vada vissuta proprio come un’intercessione fatta di un rapporto d’amore, in una relazione molto immediata, spontanea, come ci si rivolge a una persona cara, che si è percepita disponibile all’aiuto. I nostri Santi sono compagni e compagne di viaggio e quindi io incoraggio una confidenza davvero d’amore e di fiducia e di speranza. E poi tutta la nostra preghiera va certamente orientata a Dio».
Torna alla mente il sacerdote bellunese monsignor Angelo Secolini, che era quasi coetaneo di Luciani, c’era reciproca ammirazione. Lo ricorda don Davide Fiocco, che nella causa di beatificazione ha ricoperto il ruolo di collaboratore della Postulazione e dunque ha “scavato” nel dettaglio le testimonianze del pensiero di Albino Luciani. Secolini raccontò che Luciani non riferiva esperienze mistiche di Dio, ma di aver sempre preferito nella sua vita le preghiere della mamma. «In effetti» – spiega don Davide – «nei suoi testi non si trovano grandi insegnamenti spirituali, bensì indicazioni molto semplici: la recita del rosario, la lettura del breviario, la celebrazione dell’Eucaristia. Un prete molto… come noi!». «Certo» – replica il vescovo Renato – «questa spiritualità di Luciani è un segno di autenticità, che non si lascia folgorare dalle grandi cose perché si fonda su una quotidiana esperienza di Dio, che passa attraverso le cose di tutti i giorni, è nel pane quotidiano, come preghiamo nel Padre Nostro. E la centralità di quella preghiera ci conferma questo segnale di autenticità. Però» – continua il Vescovo, guardando don Davide – «questo spinge anche a me a fare una domanda, e penso al Secolini teologo, docente, insegnante di varie materie. Gli uomini di Chiesa di quegli anni, i vescovi, hanno vissuto il Concilio Vaticano II dal 1962 al 1965. Il Concilio ha cambiato la vita, il ministero, tante cose, io ne sono molto ammirato e non so se noi oggi saremo in grado di fare quel passaggio che loro hanno affrontato loro. Allora ti chiedo, che cos’è è stato il Vaticano II in Luciani?».
«Potrei dire che gli anni da vescovo di Vittorio Veneto sono stati i più belli per Luciani; certo anche quelli di Belluno, ma su quel periodo abbiamo pochi suoi scritti. Invece a Vittorio Veneto è stata la fioritura, la primavera per lui. Per quanto riguarda il Concilio Vaticano II, mi vengono in mente due documenti che ci ha lasciato. Il primo è del 1959, quando venne richiesto a tutti i vescovi della Chiesa di mandare un ordine del giorno: e Luciani stese il suo, in latino perfetto. Bene, l’impressione, rileggendolo oggi, è di qualcosa di… vecchio. Poi, un po’ alla volta, si cominciano a veder emergere temi, soprattutto quelli sulla Chiesa. L’ho studiato in modo particolare dal punto di vista della grande affermazione del Concilio: la collegialità episcopale. E questo tema inizia ad emergere quasi subito in Luciani, nella primavera del 1962, agli inizi del Concilio, si sente che parla di questo e non è forse un caso che l’unico intervento che ha fatto – non in aula, forse perché era timido – lo ha fatto per iscritto ed è proprio sulla collegialità episcopale, citando tra l’altro il papa bellunese Gregorio XVI. Potrei dire che questa sua attenzione gli rimase presente anche da papa».
«Ecco, questa è la cosa interessante» – gli replica il vescovo Renato – «gli uomini di quel tempo hanno vissuto un evento di Chiesa, lasciandosi interrogare, lasciandosi mettere in discussione, lo videro come un momento di formazione, di passaggio e di conversione e questo penso valga molto anche per noi oggi in questo guado, un vero e proprio guado a cui siamo chiamati, con i passaggi su cui anche papa Francesco ci sollecita, ci stimola. Quindi io sento Papa Luciani come un buon compagno in questo periodo, una luce in questo tempo».
«Quando lei è arrivato da noi cinque anni fa» – chiede don Davide al Vescovo – «il più del lavoro era fatto, la Positio era in fase di consegna… Come vive un momento così significativo da vescovo di questa diocesi, la diocesi di Papa Luciani?». «Ci pensavo proprio in questi giorni qui» – risponde il Vescovo – «mi sento destinatario di qualcosa che non era in programma. Quella sera dell’elezione ero lì, in piazza San Pietro a Roma, e adesso mi trovo qui in questa nostra diocesi a ricevere questo riconoscimento della beatificazione a nome della Chiesa di Belluno-Feltre. Mi sento meravigliato, sorpreso e grato di tutto questo. Lo vivo come qualcosa che è ancora da scoprire ulteriormente e sono nella disponibilità di cogliere ancor più il valore e il significato della testimonianza di vita di Luciani, che anche testimonianza di ministero. Poco dopo l’elezione di Papa Luciani ripresi in mano “Illustrissimi”: quello che mi colpiva tantissimo era questa sorta di “volto plurale” che emergeva di lui. Da una parte la saldezza, dall’altra parte tutti quei particolari che possiamo giustificare e motivare in quella che noi chiamiamo l’umiltà dell’uomo, quello che per me era un approccio immediato e facile alle situazioni di vita, tanto da risultare come una persona che sapeva sperimentare in briciole l’esistenza e questo mi pare il significato anche di tutto il suo ministero, quel suo cercare di rendere palpabile e sperimentabile l’esperienza di Dio. A tutti auguro buon cammino verso la beatificazione e verso la pagina delle beatitudini: diventi anche la nostra pagina di vita».
Luigi Guglielmi