Inizio del Sinodo dei Vescovi, “per una Chiesa sinodale”

Omelia nella 29ª domenica del tempo ordinario (anno B)
17-10-2021

Is 53,10-11; Sal 32(33); Eb 4,14-16; Mc 10,35-45

1. Vi ringrazio di cuore di essere qui, in questa Eucaristia di apertura del Sinodo dei Vescovi nella nostra Chiesa locale di Belluno-Feltre, dopo che papa Francesco l’ha aperto nella Chiesa di Roma domenica scorsa 10 ottobre. Il tema ci riguarda: Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione. In comunione con quanto oggi si sta celebrando in ogni Diocesi del mondo, noi siamo qui a fare Eucaristia. La Commissione teologica internazionale – a riguardo della sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa – afferma: «Il cammino sinodale della Chiesa è plasmato e alimentato dall’eucaristia. Essa è “il centro di tutta la vita cristiana per la Chiesa universale, per le Chiese locali e per i fedeli cristiani” (Missale romanum, Istruzione generale, 16. Perché questo? Perché – come scrive Paolo ai Corinzi – «benché siamo molti, siamo un solo pane e un solo corpo, poiché tutti partecipiamo di un solo pane» (1Cor 10,17). Si apre davanti a noi un orizzonte vasto di testimonianza: diventare ogni giorno, nelle nostre situazioni di vita, in particolare nelle nostre comunità ecclesiali, ciò che siamo nell’Eucaristia.

2. Il 18 e il 25 settembre ci siamo radunati in Assemblea sinodale. Vi partecipavano in rappresentanza delle nostre comunità parrocchiali i parroci e i vicepresidenti dei Consigli pastorali. Ci siamo incontrati nella consapevolezza di un “attore principale”. Nella Carta d’intenti– che è frutto di tale assemblea – è affermato, come atto di fede, che «Lo Spirito Santo darà vitalità, libertà e coraggio alle nostre comunità. Sarà Lui a ispirare, sostenere, portare a compimento la nostra fedeltà e la nostra creatività» (n. 2). Il nostro incontrarci si è animato attorno a un sogno e a un progetto, anzi attorno a un “destino comune”. Sta davanti a noi un cammino da condividere: «Le nostre 158 comunità parrocchiali sentono, con consapevolezza nuova, che è necessario incrociare lo sguardo, condividere le aspettative, raccogliere e unire le risorse per camminare insieme. È una prospettiva da incoraggiare, aiutare e sviluppare. Ci stiamo aiutando a sviluppare uno stile di vita generativo per le comunità parrocchiali» (n. 3). Una domanda è rimasta aperta ed essa intende diventare la nostra preghiera e la nostra promessa d’amore verso le nostre comunità – definite “sorelle” – a cui apparteniamo e che ci sostengono nella comunione della fede. Ecco la domanda in forma di appello evangelico che riprende l’invito di Gesù nel suo raccontare la parabola del “buon samaritano”: «Si “faranno prossime” le nostre comunità le une alle altre?» (n. 3). Alla fine della Carta d’intenti è raccolto il nostro proposito di impegno e affiora la nostra responsabilità in quanto battezzati, «tutti protagonisti» come ci tiene a ribadire papa Francesco: «Faremo tutto il possibile, ovunque nelle nostre comunità parrocchiali in collaborazione, perché il Vangelo e la vita pastorale non dipendano da uno solo, ma dall’apporto sincero e fraterno di tutti, dalle competenze e dai talenti di quanti, con il loro “sensus fidei”, vi corrispondono» (n. 12).

3. C’è un terzo pensiero a cui vorrei accennare e che vorrei affidare a tutti noi. Lo introduco con un interrogativo: ma vale la pena, nella situazione in cui siamo e con le difficoltà che stiamo vivendo nel nostro territorio di montagna, spendersi ancora per le nostre comunità? Fratelli e sorelle vorrei come innalzare un grido: nessuno si salva da solo in questa avventura umana! “Scialuppa di salvataggio” saranno le nostre comunità, non importa se piccole e disperse. Non si tratta di una pretesa semplicemente umana. Proprio ieri sera veniva riportata una espressione del nostro Albino Luciani che sosteneva che non ci si salva da soli, ma “in cordata”. Efficacissimo questo “in cordata”. È il nostro futuro: ritrovarsi nel comune destino di una comunità, nel rispetto di ognuno e delle sue possibilità. Anche su altri fronti – oltre quello pastorale – stanno maturando consapevolezze nuove a riguardo. Scrive Carlo Petrini: «Le comunità sanno praticare la fraternità. […] La comunità si identifica in un progetto comune, è una rete di relazioni e di vicinanze che non può essere scalfita dall’esterno. Inoltre, non c’è benessere nella comunità se non è per tutti». A comune fondamento di queste e altre parole c’è l’auto-testimonianza di Gesù: «Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».