San Martino 2019

Nella solennità di san Martino – Basilica Cattedrale di Belluno
11-11-2019

Is 61,1-3a; Sal 88 (89); 1Cor 9,16-19.22-23; Mt 25,31-40

In questi giorni, viaggiando per il nostro territorio, tra le alterne condizioni meteorologiche a cui siamo stati esposti, mi è parso di cogliere quel gioco inaspettato della natura, per cui sempre nuovamente essa ti sorprende.

Ieri si poteva ammirare lo splendente biancore della neve che sembrava dare un volto nuovo alle nostre montagne.

Lasciarci sorprendere è importante! La vita si può cogliere nella sua bellezza se proviamo stupore e se il nostro sguardo si posa con ammirazione sul suo manifestarsi anche se esile ed esitante. Lo stupore degli inizi è proprio di Dio. Si legge nella Genesi: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (1,31).

Tante situazioni di questi ultimi giorni, invece, hanno risvegliato in noi il sapore amaro di quando la vita è soppressa, abusata, violentata o anche banalizzata e strumentalizzata per fini che non le si addicono.

Potremmo dire che si tratta di “vuoti di stupore”, per cui non si ha più rispetto, pudore, cura, premura, compassione per l’offrirsi a noi della vita, che, invece, dovremmo imparare a conoscere e ad accogliere nella sua incondizionata originalità. Quando manca stupore ci si prende la vita, ci si impossessa di essa e non le si dà respiro.

A me sembra che San Martino – che noi veneriamo come patrono della nostra Città e compatrono della nostra Chiesa di Belluno Feltre – sia stato un uomo capace di avvicinarsi alle persone e di attraversare le molteplici situazioni e difficoltà che ha incontrato, rapportandosi a tutto questo con stupore.

Lo stupore è il momento in cui si esce da se stessi e, ammirati di ciò che sta dinnanzi, si è disposti a mettersi in discussione e a lasciarsi cambiare. È la condizione per un rapporto più sincero, più profondo, più generativo e avviene quando molliamo la presa sulle persone, sulle cose, sulle situazioni, sugli eventi come se fossero in nostro possesso.

Un anno fa eravamo qui a riconoscere la prontezza e la dedizione con cui la nostra popolazione, con le sue associazioni e istituzioni, ha attivato una sorprendente opera di guarigione dalle ferite inferte al nostro territorio dalla tempesta Vaia.

Oggi la domanda che ci poniamo è se siamo capaci di sostenere anche la “prova dello stupore”, che è il coraggio di scoprire energie nuove, potenzialità ulteriori dentro di noi, tra di noi; senza rinchiuderci nelle cancellate delle nostre paure e dei nostri timori. Si tratta per tutti, anche a livello di istituzioni, di spezzare le catene di vincoli che creano obblighi ingiustificati e insopportabili. Si tratta di investire ciò che siamo e che abbiamo per suscitare dei sogni comuni, condivisibili ai più, dove gareggiare nella custodia e nella promozione della vita. Quale vita? Quella di cui insieme riusciamo a stupirci. Quella per cui Martino si è speso. La vita si accoglie, disarmati e ammirati, come un dono perché possa essere una promessa affidabile per tutti.

Anche la nostra Chiesa di Belluno Feltre non può non cogliere questo appello allo stupore che le viene dalla Parola di Dio appena ascoltata: «portare il lieto annuncio ai miseri, […] fasciare le piaghe dei cuori spezzati, […] proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, […] promulgare l’anno di grazia del Signore».

La nostra Chiesa si scopre nuovamente chiamata a mettersi al seguito del suo compatrono San Martino. Come lui, essa non ha forze per concorrere con privilegi o per rivendicare spazi di potere. Nella sua fragilità essa sente il bisogno di porre il suo sguardo di stupore su ogni volto che le è dato di incontrare. Solo così potrà riconoscere Gesù Cristo come il Signore della Vita. Questa nostra Chiesa sta particolarmente cercando i volti di tanti giovani per sognare e desiderare con loro una vita buona, dignitosa, capace di futuro, amata, libera, in un mondo abitabile e condivisibile, ecologicamente sano. Con loro nutre lo stupore di un tempo nuovo a cui aprirsi.

Ma la nostra Chiesa ha bisogno anche di ritrovare i volti di quanti da essa si sono sentiti abbandonati o tenuti lontano. Diventerà possibile se il Vangelo sarà il suo stupore, sarà lo sguardo e sarà il cuore con cui incontrarsi nuovamente con loro: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi».

Gesù con questa sua parola di rivelazione ha inteso stupirci, cambiando, anzi ribaltando le posizioni raggiunte, riportandole alla sua pratica d’amore: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».

Mi colpisce molto quanto Paolo attesta alla fine della seconda lettura: «Mi sono fatto tutto per tutti […]. Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io».

Paolo sembra dirci che solo dopo avere gratuitamente donato il Vangelo a tutti e in esso la vita, anche lui – Paolo – potrà diventarne partecipe. Così la nostra Chiesa solo nel suo darsi a tutti, condividendo il Vangelo, ne diverrà anche realmente partecipe.

Stupore nello stupore!