Un’ondata di speranza

Omelia nel 61° anniversario del Vajont, cimitero di Fortogna (Longarone)
09-10-2024

Gal 2,1-2.7-14; Sal 116 (117); Lc 11,1-4

«Genti tutte, lodate il Signore, popoli tutti cantate la sua lode. Perché forte è il suo amore per noi e la fedeltà del Signore dura per sempre». Queste parole del salmo 116, pregate poco fa, sembrano infrangersi contro i ricordi più bui e più laceranti di questi luoghi drammatici e santi.

Eppure dentro di noi non si spegne la convinzione che l’amore è forte oltre la morte, così come la fedeltà del Signore verso le sue creature non può che durare per sempre.

Sono i tanti bambini, giovani, adulti, anziani, di cui qui vi è memoria, a sfidare il nostro dolore e la nostra tristezza: «Genti tutte, lodate il Signore, popoli tutti cantate la sua lode».

Il 19 gennaio scorso abbiamo compiuto un pellegrinaggio della memoria facendo visita a Papa Francesco. Lo sguardo commosso di ciascuno di noi, puntato sugli occhi accoglienti e ammirati di Francesco mentre gli stringevamo la mano, ha raccolto una sensazione profonda di liberazione interiore, di consolazione dello spirito, di tenerezza negli affetti. In tutto questo un fremito di risurrezione ci ha sfiorato come una promessa degna di fiducia da custodire e far crescere. Poco prima il Papa, con voce flebile ma nell’intensità del suo cuore, ci aveva salutati e ringraziati con queste parole: «Con la vostra presenza rappresentate un’ondata di speranza. Se sessant’anni fa, esattamente il 9 ottobre del 1963, una catastrofica ondata spazzò via interi paesi e frazioni, provocando 1910 vittime, voi siete un’onda di vita. Infatti a quell’ondata di annientamento e distruzione avete risposto con il coraggio della memoria e della ricostruzione». In tutta la travagliata storia che ne è seguita egli ha riconosciuto una «grande ondata di bene». A essa ha dato dei nomi: «[i] soccorritori, [i] ricostruttori, [i] tanti che non si sono lasciati imprigionare dal dolore ma hanno saputo ricominciare». E, poi, Francesco ci ha svelato ciò che non avremmo mai pensato di noi, mai immaginato: «Voi siete artefici, siete testimoni di questi semi di risurrezione». Sembra che i paesani e familiari avvolti dalle forze travolgenti di quella notte, oggi siano a indicarci, attraverso l’affetto e le parole del Papa, i “semi di risurrezione” con cui donare fiducia e speranza di vita a questo mondo tormentato dai conflitti che si sono accesi e acuiti proprio lungo l’anno del 60° del Vajont. Il Papa ci ha parlato di Dio come di colui che è «specialista in ripartenze», poiché «da un sepolcro di morte ha avviato una storia eterna di vita nuova»: sono le sue parole!

Ciascuno di noi è una promessa di risurrezione: ecco perché neppure la catastrofica ondata di quella notte e la ventata distruttrice che l’ha accompagnata possono rappresentare tutta quanta la nostra realtà e verità. È vero: in quella notte di 61 anni fa, è esploso il male della tracotante irresponsabilità e della scandalosa insipienza dell’azione umana, ma nulla può estirpare “la fedeltà del Signore che dura per sempre”, come abbiamo pregato nel salmo. È il seme di risurrezione da custodire, da far crescere e fiorire fino al suo frutto.

Nella prima lettura proclamata, l’apostolo Paolo ha rivisitato la sua vicenda personale uscita dal male della violenza e della distruzione da lui stesso perpetrate, ma ecco che l’amore più forte, quello di Dio, lo ha iniziato in modo rinnovato alla vita, al coraggio della verità, alla dedizione agli altri.

Nel racconto evangelico di oggi troviamo una breccia di risurrezione nelle parole stesse di Gesù, nella sua preghiera richiestagli dai discepoli: «Signore, insegnaci a pregare». È la ricerca dell’amore più forte a cui essere generati e della fedeltà che dura per sempre a cui affidarci. In quella preghiera di Gesù ci sono tutti i nostri cari familiari e paesani: «Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno […] non abbandonarci alla tentazione».