A cura di don Ezio Del Favero

112 – I ragazzi e il gigante delle montagne

Si dice che il vecchio avesse molte storie da raccontare, specialmente sullo spaventoso Tchenou…

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Molto tempo fa, durante la luna delle foglie che cadono, una ragazza e i suoi due fratelli viaggiarono verso le montagne del Nord e lì allestirono il loro accampamento. Speravano di riportare abbastanza pellicce e carne per superare l’inverno. I primi due giorni furono fortunati: i fratelli andavano a caccia e la sorella, Tolba, rimaneva all’accampamento a sistemare la selvaggina catturata.

Il terzo giorno, uno dei fratelli notò delle impronte molto grandi. Awassos, il maggiore, le ispezionò attentamente: «Il nonno mi ha parlato di una creatura che lascia tracce come queste. Il suo nome è Tchenou!». Gli fece eco Nolka: «Ricordo anch’io! Ha detto che sono dei giganti cannibali, con lunghi denti aguzzi e un cuore di ghiaccio!». Osservando le tracce da vicino, i due fratelli notarono che si dirigevano verso il loro accampamento. «Dobbiamo tornare immediatamente da Tolba!», si dissero.

Nel frattempo, all’accampamento, Tolba non sospettava nulla, mentre puliva accuratamente la pelle di un’alce, accanto a un fuoco vivo in cui venivano arroventate le pietre utilizzate per preparare il bagno di vapore in vista del ritorno dei cacciatori. La ragazza si alzò per aggiungere legna sul fuoco e sentì il rumore di rami spezzati. Si voltò e vide un enorme Tchenou… tre o quattro volte più grande del suo Wigwam, la capanna tipica della sua gente costruita con pelli e rami.

Il Tchenou alzò le braccia e si preparò ad afferrare la ragazza con le sue lunghe dita scheletriche. Sapendo che non poteva né salvarsi né nascondersi, Tolba pensò a un’astuzia. Disse col sorriso: «Caro nonno, dov’eri finito?». Il gigante ringhiò sorpreso: «Nonno?» e si bloccò di colpo. Nessun essere si era mai rivolto a lui con tale gentilezza e familiarità. La ragazza, cercando di rimanere calma e indicando il fuoco lì vicino: «Nonno, per tutta la giornata ti ho preparato un bagno di vapore! Entra nel rifugio». E sollevò la pelle di cervo che fungeva da porta. Il Tchenou fece un cenno di ringraziamento e si stabilì come poté all’interno del piccolo rifugio. Tolba portò le pietre roventi, una alla volta una.

Nel frattempo arrivarono all’accampamento i suoi fratelli, completamente trafelati: «Abbiamo visto delle enormi impronte che si dirigevano qui…».

La ragazza fece cenno di rimanere in silenzio e disse a voce alta: «Il nonno è finalmente arrivato, venite a salutarlo!». Così dicendo, sollevò la porta del rifugio dicendo: «Nonno, i tuoi cari figlioli sono qui per salutarti». Il gigante replicò: «Ho anche dei nipoti?». Awassos e Nolka non credevano ai loro occhi.

Il mostro aggiunse: «In questo rifugio sto bene… portatemi altre pietre!».

Così i tre fratelli impilarono le pietre roventi in mezzo alla capanna e Tolba mise un contenitore pieno d’acqua, fabbricato con corteccia di betulla, vicino alla porta. Poi sussurrò ai fratelli «Questo è il momento buono per metterci in salvo!».

Dall’interno del rifugio il gigante chiese ulteriori pietre. Tolba alzò la porta e i suoi fratelli accumularono altre pietre all’interno. Dopo quattro carichi, chiusero l’ingresso e udirono il suono dell’acqua sulle pietre roventi: “Tshhhhhhh”. «Ancora più pietre e più acqua!». «Sì, nonno!». Tolba tornò al torrente mentre i fratelli continuarono a portare pietre roventi all’interno del rifugio. «Non ha senso scappare, ci chiamerà di nuovo!», disse Nolka. In quel momento, udirono: «Ancora più pietre e più acqua!». Portarono tutte le pietre che rimanevano sul fuoco sperando che facessero così caldo da far morire il mostro. Ma, con grande sorpresa, versando l’acqua il Tchenou si mise a cantare: «Kwé a éhe no, kwé a éhe no…». Versò ancora dell’acqua, ma a quel punto la sua voce cominciò a indebolirsi: «Kwé a éhe no…». Versò l’acqua un’ultima volta e la sua voce si affievolì come quella di un vecchio e si mise a implorare: «Vi prego, fatemi uscire!».

Awassos aprì la porta e il vapore lo fece indietreggiare. Un vecchio uomo strisciò fuori dal rifugio, si sollevò in piedi e iniziò a tossire fino a sputare un enorme pezzo di ghiaccio a forma di cuore. «Grazie, figlioli, mi avete liberato! Non sarò mai più un mostro, finalmente ho ritrovato le sembianze umane. Ora sarò davvero per voi come un nonno!».

Così Tolba, Awassos e Nolka lasciarono le montagne e tornarono al villaggio con le pellicce e la carne per tutto l’inverno, accompagnati dal nonno acquisito, che visse con loro per il resto dei suoi giorni. Si dice che il vecchio avesse molte storie da raccontare, specialmente sullo spaventoso Tchenou…

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La parabola – raccolta tra i nativi Canadesi – fa parte della tradizione Abenachi e insegna a essere scaltri e generosi, così da esorcizzare il male e contribuire a ristabilire il Bene, in armonia con l’intero creato.