A cura di don Ezio Del Favero

142 – Lo gnomo delle pepite

«Dall’avarizia non si può ottenere altro che una manciata di carbone!»

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Tempo fa, due fratelli stavano camminando in mezzo alla foresta.

Al tramonto, iniziarono a sentire una melodia gioiosa. Si avvicinarono di nascosto alla radura da cui proveniva la musica, finché non videro degli gnomi e delle fate che danzavano al chiaro di luna.

Uno di loro si accorse dei visitatori nascosti e li invitò a partecipare alla festa, offrendo a entrambi una bevanda inebriante e una pietra leggera tutta nera: «Mi raccomando, tenete in tasca questo pezzo di carbone e tiratelo fuori solamente domani mattina!».

I due fratelli, un po’ scettici, misero in tasca il carbone, bevettero la bevanda inebriante e si unirono alle danze, divertendosi per tutta la notte, fino ad addormentarsi sull’erba.

Al mattino, al risveglio, i due giovani tolsero il carbone dalla tasca e al suo posto trovarono una pepita d’oro.  «Che sorpresa!», si dissero meravigliati.

Il maggiore esclamò: «Che fortuna! Se riusciremo ad approfittare dello gnomo, potremmo arricchirci senza faticare!».

Ma il fratello replicò: «Secondo me, non dobbiamo abusare della gentilezza di quelle straordinarie e adorabili creature. Godiamoci pure quest’oro, ma accontentiamoci e torniamo a casa!».

L’altro disapprovò: «Torna pure a casa se vuoi! Io resterò qui fino al tramonto ad aspettare lo gnomo delle pepite».

Il fratello più giovane tornò a casa, portando in tasca la sua pepita d’oro, mentre il maggiore rimase accanto alla radura aspettando la sera.

Al tramonto, puntualmente, tornarono gli gnomi e le fate e il visitatore fu invitato ancora una volta a partecipare alle loro danze. Anche quella notte, l’ospite ricevette da uno gnomo un pezzo di carbone, con la stessa raccomandazione: «Tienilo in tasca e tiralo fuori solamente domattina!».

Al mattino, il giovane mise le mani in tasca pensando di scoprirvi una pepita, ma trovò del semplice carbone. E anche l’oro ottenuto la sera prima si era trasformato in carbone.

Deluso e rattristato, il giovane tornò a casa e raccontò al fratello ciò che gli era successo. Costui lo rimproverò: «Ti avevo detto di accontentarti e di non approfittare della generosità degni gnomi! Giustamente sei stato punito a causa della tua eccessiva avidità!». Ma poi, essendo magnanime, si addolcì: «Comunque, da buoni fratelli, divideremo la mia pepita in parti eguali!».

D’allora, i due fratelli – sicuramente grazie alla magia e alla generosità dello gnomo delle pepite d’oro – non ebbero più problemi economici, anche perché il maggiore aveva imparato la lezione, diventata proverbiale in quella regione: «Dall’avarizia non si può ottenere altro che una manciata di carbone!».


La parabola – raccolta in Irlanda – si rifà a un ciclo di leggende che ha per protagonista il folletto “Leprecauno”, conosciuto anche come il calzolaio delle fate, un piccolo gnomo alto meno di un metro, dai capelli e dalla barba rossi, vestito di verde e una tuba sempre verde in testa, un grembiule da lavoro in pelle, un panciotto di lana, pantaloni alla zuava, calze al ginocchio, scarpe di pelle con fibbie d’argento e redingote verde (elegante soprabito legato sul davanti, aderente alla vita e svasato inferiormente). Ha la barba, fuma la pipa e appare come un calzolaio. Tale folletto è il più ricco e il più taccagno degli abitanti del Piccolo Popolo, in quanto, confezionando le sue scarpe magiche, guadagna una grande fortuna, che tiene in una pentola d’oro nascosta alla base dell’arcobaleno…

Una leggenda irlandese, assai conosciuta, racconta: «Dove finisce l’arcobaleno c’è una pentola piena d’oro». I protagonisti sono un folletto irlandese e un giovane contadino. I due s’incontrarono. Il Leprecauno confida al contadino di essere troppo vecchio per raggiungere la pentola d’oro sulla cima della montagna là dove finisce l’arcobaleno. Il giovane si offre di recuperare il tesoro per lui. Quando lo fa, il folletto lo premia concedendogli una ricompensa per la sua fattoria in crisi: «Ma non devi assolutamente svelare questo mistero!». Il contadino, però, incapace di mantenere il segreto, svela a un vicino l’esistenza della pentola d’oro. L’amico, che era avido, va in montagna a prelevare il denaro e scatena l’ira del folletto, che si vendica azzerando l’amicizia col contadino e distruggendo la campagna sua e anche quella del vicino.

Recita un proverbio irlandese: «Trova tempo per amare ed essere amato: è il privilegio degli dèi»…