Vi era un laghetto in montagna. Gli abitanti del paese che sorgeva accanto a quello specchio d’acqua ritenevano che esso fosse popolato da fate e da altri spiriti, che durante la notte si manifestavano con canti, lamenti, grida e sibili a volte inquietanti. Quegli strani rumori erano simili al suono dello zufolo, per cui i paesani, parlando dello specchio d’acqua vicino alle loro case lo definivano “Il lago che sùbia” (che zufola, che fischia). Anche gli abitanti dei paesi vicini o i viandanti, quando passavano di là dopo il tramonto del sole, raccontavano di suoni incantanti…
Una sera, un giovane del posto stava tornando a casa dopo aver fatto visita alla ragazza che amava. Improvvisamente, sulla riva del lago, si sentì chiamare per nome… Sorpreso, si accorse che delle creature magiche e bellissime, forse delle fate, stavano danzando sulle acque dello specchio d’acqua, alla luce dei raggi della luna. Le fate lo chiamavano, ripetendo: «Vieni con noi! Vieni a danzare con noi al chiaro di luna! Ti promettiamo tanta felicità!» Il giovane provò a rifiutare l’invito: «No, non posso! Ho paura dell’acqua, non so nuotare, rischierei di annegare!» Le creature danzanti lo deridevano: «Hai paura?»
A un certo punto gli dissero: «Guarda, l’acqua è sparita, vieni!» Come per incanto il lago effettivamente era sparito, i sassolini sul fondo sembravano asciutti e i massi erano coperti di muschio, come all’interno di un bosco. Il giovane esitava. Per cui le fate insistettero: «Forza, coraggio, vieni! Danzando con noi dimenticherai i tuoi problemi e sarai solo felice!»
Le fate chiamavano e lui non cedeva alla tentazione.
Allora le creature danzanti smisero di invitarlo con insistenza e gli promisero in coro: «Tu sei una persona prudente e saggia e sai resistere alle tentazioni. Come premio e come prova della nostra buona fede ti daremo la possibilità di esprimere un desiderio, così ti ricorderai di noi per sempre». A quel punto il giovane, che di professione faceva il falegname, espresse il suo più grande desiderio: «Vorrei essere in grado di eseguire con le mie mani qualsiasi opera d’intaglio». Le fate risposero: «Va bene! Te lo concediamo. Ma non aspettarti di diventare ricco!». Il giovane, sorridendo, rispose «Non importa!» e intanto s’immaginava le opere artistiche che avrebbe voluto e potuto realizzare. Le magiche creature danzanti sparirono. L’acqua del lago tornò a zufolare, impetuosa e spumeggiante, mentre le fronde dei faggi stormivano a causa del vento e la montagna proiettava la sua ombra sul paese del falegname nascondendo la luna dietro la cima.
Da quel giorno il giovane falegname realizzò meravigliose opere in legno, di rara bellezza, per le case e le baite dei paesani, per i capitelli e le chiesette del paese e dei villaggi vicini. Però senza mai arricchirsi. Visse, insieme alla sua cara amata e ai loro numerosi figli, sempre felice, anche se nella sobrietà e nella semplicità tipiche della gente di montagna. Quell’abile scultore morì povero com’era vissuto e come gli avevano predetto le fate, ma la sua vita fu davvero felice e le sue opere sono molto apprezzate ancora oggi…
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La Parabola – tratta da una leggenda raccolta a Valstagna (Vicenza) – racconta l’origine di un “sùbio” che effettivamente si può udire a motivo del gorgogliare dall’acqua che esce da una sorgente e forma uno specchio d’acqua, che nei periodi di piena tracima formando un torrente che si getta nel fiume Brenta.
La leggenda crea l’atmosfera fantastica legata alle montagne, ai boschi, agli specchi d’acqua e alle creature che vi abitano, anche immaginarie.
Il finale è quello tipico dei racconti popolari, che premiamo la persona povera, onesta e sapiente, non per forza con ricchezze materiali…
Fabrizio Caramagna: «La pittura ha tante affinità con il cielo quante la scultura con le montagne».