a cura di don Ezio Del Favero

36 – La violetta e gli dei dell’Olimpo

D’allora, quel tenero fiorellino si chiama “Viola Mammola” e si diffonde ovunque...

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In tempi lontani, una graziosa Ninfa, buona e generosa, viveva sulle sponde dei ruscelli e amava riposarsi nei boschi accanto a muschi e licheni, ristorandosi con la rugiada del mattino.

Se una piantina non riusciva a dissetarsi a causa della calura, la Ninfa le porgeva la rugiada dandole ristoro. Era sempre pronta a porgere aiuto agli altri e le piante e le creature dei boschi l’amavano e la rispettavano.

Anche Artemide (dea della natura, della caccia, degli animali selvatici, della foresta, della luna… ), colpita da quella Ninfa per la sua bellezza, la sua modestia e la sua bontà, ne fece la sua protetta nominandola affettuosamente “Mammola”.

Soltanto un rovo, pieno di spine, che viveva un po’ distante in un luogo deserto e brullo, disdegnava l’aiuto della Ninfa. Era superbo e si vantava dei suoi spini che recavano solo danno alle altre creature. Quando la Ninfa si avvicinava per porgergli la rugiada, lui la graffiava e le strappava la sua veste candida.

Un giorno, il fratello di Artemide, Apollo (dio della poesia, della musica, delle arti mediche, delle scienze, dell’intelletto, della profezia, del sole…) scorse Mammola sulle sponde del ruscello e se ne innamorò, tanto da pensare di portarla con sé sul Monte  Olimpo. Ma quando discese dal monte per portarsi via la Ninfa, non trovandola la chiamò: «Dove sei? Perché ti nascondi? Vieni con me sul monte degli dei!». Mammola si era nascosta tra i muschi e i licheni. Apollo, autoritario e impaziente minacciò: «Se non ti fai vedere, brucio la vegetazione, con i raggi infuocati che ho il potere di dominare!».

Mammola non volendo abbandonare la sua terra per seguire il dio sul monte, ma non volendo neanche danneggiare le piante amiche, fuggì lontano. Apollo la vide e la inseguì. Lei cercò con ansia un rifugio, ma si trovava nel luogo deserto e brullo dove viveva il rovo che ben conosceva. In una siepe vi erano delle bacche violacee. Mammola ne prese una manciata e, dopo averle schiacciate, si tinse la fronte, le gote e la veste, sperando che l’inseguitore non la riconoscesse.

Ma Apollo, che aveva lo sguardo acuto, riconobbe in quella creatura violacea la Ninfa che cercava.

Mammola, disperata, si rivolse al rovo: «Aiutami, fammi da riparo!».

Ma il rovo,  disdegnoso come sempre, la minacciò: «Se ti avvicini, ti graffio e ti strappo la veste!». Mammola, però, vedendo che Apollo stava avvicinandosi, entrò tra i rami spinosi del rovo, lacerandosi le vesti e la pelle. Mentre il suo sangue sgorgava, Mammola supplicò: «Rovo, ti supplico, abbi pietà di me!». Ma esso, nella sua estrema malvagità, le conficcò gli spini più acuti nel cuore e la Ninfa, gravemente ferita, cadde priva di sensi. In quel momento arrivò Apollo e vide la Ninfa in un lago di sangue. Disperato, invocò la sorella Artemide perché accorresse dall’Olimpo per rianimare la creatura di cui era innamorato.

La dea accorse immediatamente e chiese al fratello: «Che cosa hai combinato?».

Apollo, pentito, le narrò l’accaduto, mentre la dea tentava in tutti i modi di rianimare la sua protetta. Ma ormai Mammola era perduta…

Afrodite pianse disperata, inondando con le sue lacrime il corpicino della sua cara Mammola, che si era sacrificata per non provocare danno alle creature amiche. La dea urlò al rovo: «La tua crudeltà sarà punita per sempre! Le altre creature ti sfuggiranno e tu sarai sempre solo e odiato da tutti!».

Al fratello disse: «Anche tu sarai castigato! Non ti sarà mai più permesso di vedere le sembianze di Mammola!».

Poi prese il corpo inanimato della Ninfa, lo riportò nel folto dei boschi e lo depose sul terreno, profetizzando: «Non sarai mai sola, perché gli dei ti avranno cara e gli uomini ti onoreranno!». Così la trasformò in un delicato fiorellino dal colore viola e dal profumo soave. Depose alcune gocce di rugiada in mezzo ai petali affinché Mammola si dissetasse e poi risalì sul monte Olimpo.

D’allora, quel tenero fiorellino si chiama “Viola Mammola” e si diffonde ovunque, specie nel folto dei cespugli e dei boschi, per la gioia degli uomini e degli dei.

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La parabola – tratta dalla mitologia Greca – evidenzia lo stretto rapporto che esiste tra gli dei del Monte Olimpo (esseri antropomorfizzati) e le creature. Sia tra gli dei che tra le creature esistono gli esseri buoni e altruisti (come Mammola) e gli essere malvagi ed egoisti (come il rovo).

Come nelle favole, chi vive all’insegna della bontà e della generosità, riceverà la ricompensa, come la violetta che diventerà immortale.