...ma improvvisamente notò che uno dei pezzi che aveva in mano brillava alla luce della luna.

51 – Il vulcano e la ragazza splendente

A cura di don Ezio Del Favero

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In un piccolo villaggio tra le montagne vivevano poveramente due sposi anziani che non avrebbero mai potuto avere figli nonostante il loro profondo desiderio. Per vivere, la coppia dipendeva dalla raccolta della pianta di bambù e dal suo utilizzo per creare oggetti di artigianato. 

Una sera, il vecchio andò nella foresta per tagliare e raccogliere il bambù, ma improvvisamente notò che uno dei pezzi che aveva in mano brillava alla luce della luna. Dopo aver esaminato l’interno del gambo, vi trovò una bambina alta pochi centimetri.

Non avendo figli, l’uomo portò la bambina a casa. Visto che il corpicino della piccola emanava una flebile luce e che era nata da un bambù, i genitori adottivi le diedero il nome di “Nayotake no Kaguyahime”, ovvero “Principessa Splendente del flessuoso bambù”. La coppia decise di crescerla come una figlia, chiamandola familiarmente Kaguya. Inoltre, il pezzo di bambù in cui la piccola era stata scoperta cominciò a generare oro e pietre preziose, arricchendo così la povera famigliola.

La piccola, col tempo, crebbe, diventando una bellissima ragazza. La sua bellezza era tale che iniziò ad avere molti pretendenti, ma ogni volta si rifiutava di sposarli. La notizia del suo fascino raggiunse addirittura l’Imperatore, che incuriosito le chiese di presentarsi a lui, ma Kaguya rifiutò l’invito. Di fronte al rifiuto, il sovrano andò a visitarla personalmente, innamorandosi subito di lei e insistendo nel portarla con sé nel suo palazzo imperiale. Ancora una volta la giovane rifiutò. Da quel momento, l’Imperatore continuò a mantenersi in contatto con Kaguya attraverso delle lettere d’amore.

Un giorno, la ragazza parlò con i genitori adottivi del motivo per cui rifiutava i pretendenti, compreso l’Imperatore, e del perché passasse ore a guardare il cielo: «Vi ringrazio con tutto il cuore per quanto avete fatto nei miei confronti, ma è giunto per me il tempo di ritornare sulla luna, la mia vera casa, dalla quale provengo. Il solo pensiero mi rende triste, ma presto dalla capitale lunare verranno a prendermi, poiché il mio tempo qui sulla terra si è concluso!». Presi dalla disperazione, i genitori si confidarono con l’Imperatore, che mandò centinaia di guardie per impedire che la giovane venisse riportata sulla luna.

Nonostante i soldati imperiali sorvegliassero la casa del taglia-bambù, durante una notte di luna piena una potente luce li accecò e degli esseri splendenti discesero dal cielo, afferrarono Kaguya e con lei salirono in alto. Kaguya riuscì a salutare i genitori e a lasciare una lettera d’amore per l’Imperatore, insieme a una bottiglietta in cui vi era contenuto un elisir di vita eterna. La lettera e la bottiglietta furono consegnate all’Imperatore, che, distrutto dal dolore, decise di portarle sulla montagna più alta e di accendere un falò. Lì, dopo che la luna uscì, l’imperatore gettò nel fuoco la lettera e l’elisir, generando del fumo che salì verso il luogo in cui la sua amata era salita. Elevandosi verso il cielo, il fumo raggiunse la luna, portando la disperazione dell’Imperatore fino alla principessa splendente.

Quella montagna è il Monte Fuji. E ancora oggi è possibile scorgere sulla sua cima il fumo del falò dell’Imperatore innamorato.

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La parabola – di origine Giapponese – è un mito che narra l’origine del famoso vulcano Fuji Yama, la montagna più alta del Paese con i suoi 3.700 metri. 

Un altro racconto, tratto sempre dal folklore giapponese, narra di un boscaiolo che venne svegliato da un forte rumore che credeva fosse un terremoto. Quando l’uomo controllò vicino a casa, vide che nella terra prima piatta era apparsa una montagna. Il boscaiolo rimase stupito dalla misteriosa esistenza della montagna e la chiamò Fuji-Yama o “Montagna che non muore mai”.

La montagna Fuji, come spesso accade nelle varie culture, è anche un luogo sacro.  Lungo i suoi pendii è raggiungibile il santuario Fujiyoshida Sengen, tramite una scalinata di 500 gradini affiancata da lanterne in pietre. Durante il Periodo Edo (1603-1868) questo luogo rappresentava il punto di partenza per i pellegrini e gli scalatori che si avventuravano sulla montagna. Ancora oggi alcuni escursionisti si fermano a pregare lì prima di affrontare il cammino di 19 chilometri che conduce alla vetta.

Questo luogo sacro è uno dei tantissimi santuari Sengen sparsi in tutto il Giappone e dedicati alla principessa Konohanasakuya, la divinità shintoista associata al Monte Fuji. Il termine Sengen si riferisce a un’antica pratica del buddismo shintoista di venerare i vulcani e per questo ancora oggi vulcani e montagne sacre presentano alla loro base tali santuari.