Un giorno, un vecchio Saggio stava camminando in mezzo alle montagne su una piccola strada sterrata verso un villaggio dove i suoi discepoli lo aspettavano.
Il vecchio fu fermato da un gruppo di giovani maleducati. A quei ragazzi piaceva deridere, criticare e umiliare le persone: era il loro passatempo preferito.
Sorpreso dal loro atteggiamento, il Saggio si sedette sopra una roccia non lontano da loro e li lasciò continuare senza dire nulla. Quando i giovani screanzati si calmarono, il Saggio chiese loro: «Bene, signori, che piacere avete ricevuto criticandomi e offendendomi in questo modo?».
Essi ricominciarono a deriderlo in maniera ancora più pesante, trovando quello che dicevano divertente e non perdendo occasione per umiliarlo e sminuirlo sempre di più. A un certo punto, stanchi e soddisfatti di quel momento di scherno, i ragazzi decisero di tornare a casa. Ma il Saggio li sfidò dicendo loro: «Ascoltatemi, prima di andarvene, vorrei dirvi qualcosa. Voi non sapete chi sono io. Nel villaggio dove vado, sono amato e rispettato. Se i miei discepoli scoprono la maniera in cui mi avete trattato, rischiate di pagarla con la vostra vita. Per risparmiarvi ciò, mi sono seduto qui su questa roccia e vi ho permesso di criticarmi e di macchiarmi nel modo più vile possibile. Quindi vi ho fatto un gran favore! Di solito, quando vogliamo dare gioia alle persone dobbiamo fare molti sforzi, spendere soldi e intraprendere diversi preparativi. In questo caso, non ho dovuto far nulla di tutto ciò. Mi è bastato solo sedermi qui, su questa roccia, accanto a voi e permettervi di criticarmi e, di conseguenza, di sentirvi soddisfatti. Sono quindi responsabile della vostra gioia, senza aver avuto l’intenzione di donarvela. Vi ho reso felici! E invece di essere triste e abbattuto a causa delle cattive osservazioni che mi avete rivolto, sono felice anch’io, perché ho provocato gioia nei vostri cuori!».
A quel punto, i giovani si sedettero per terra davanti al Saggio e si misero ad ascoltarlo, con attenzione, talmente erano toccati dalle sue parole.
Il vecchio continuò: «Immaginiamo che un uomo molto povero, che indossa abiti strappati, bussi alla porta della vostra dimora e vi chieda l’elemosina. E immaginiamo che, invece di dargli dei soldi, voi gli diate da mangiare; ma quello che voi gli offrite non sia quello che il povero si aspetti. Immaginiamo quindi che rifiuti il vostro cibo. Che cosa fareste voi?». Essi riposero in coro: «Beh! Se uno rifiuta ciò che gli diamo, peccato per lui, facciamo a meno di darglielo!».
Il Saggio spiegò loro: «Quello che è successo poco fa tra me e voi è lo stesso. Mi avete “offerto l’elemosina”, pensando che io avessi bisogno delle vostre critiche. Me le avete offerte gratuitamente, senza che ve le chiedessi. Ma io non le accetto, perché non è quello di cui ho bisogno. Poi, come nella storia del pover’uomo che vi ho raccontato, il tutto ritorna a voi. Il male che pensavate di fare a me, in realtà è voi stessi che l’avete fatto, dato che io non l’ho accettato. È come una missiva: se il destinatario non l’accetta, il messaggero la restituisce al mittente! Avete compreso il mio insegnamento? Denigrare o invidiare una persona è una soddisfazione meschina, in quanto, alla fine, è a se stessi che si fa del male. Perché il male chiama altro male, come il bene chiama altro bene: ovvero, raccogliamo ciò che seminiamo!».
I giovani rimasero in silenzio e il Saggio concluse rivolgendosi a uno di loro: «Se vuoi smettere di farti del male, è necessario sbarazzarti della tua rabbia e farti amore. Quando odi gli altri, odi te stesso e diventi infelice… ma quando ami gli altri, tutti sono felici, tu per primo!».
Il giorno seguente, il giovane si presentò dal vecchio Saggio chiedendo di diventare suo discepolo.
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La parabola – raccolta in Nepal – è un racconto buddhista. Il Saggio raffigura un episodio della vita di Buddha (“Illuminato”). Si racconta che nel 530 avanti Cristo, a 35 anni, Gautama (futuro Buddha), che proveniva da una famiglia ricca e nobile del clan degli Śākyanel, fosse seduto sotto un albero di fico a Bodh Gaya a gambe incrociate nella posizione del loto. Dopo sette settimane di profondo raccoglimento ininterrotto, in una notte di luna piena del mese di maggio, a lui si sarebbe spalancata l’illuminazione perfetta: egli avrebbe meditato una notte intera fino a raggiungere il Nirvana (stato perfetto di pace e di felicità, culmine della vita ascetica).