A cura di don Ezio Del Favero

8 – Il gigante della montagna

Gli uomini, gli uomini erano sempre più avidi

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Molto tempo fa, appena sotto la cima più alta di un gruppo montuoso, all’interno di una grotta viveva un gigante, forte come un ciclope ma incapace di fare del male perché buono. I valligiani si recavano spesso sui monti e si avvicinavano senza paura al colosso buono e gli raccontavano le storie delle loro valli. Da parte sua, il gigante era felice quando gli abitanti del posto venivano a trovarlo; li ascoltava con gioia e talvolta regalava loro una piccola pepita d’oro, una pietra preziosa o del metallo pregiato raccolti tra le rocce.

Passarono gli anni e gli uomini divennero sempre più avidi. Al punto da non raccontare più nulla al gigante della montagna, ma di pretendere da lui sempre più oro, metalli pregiati e pietre preziose. Al buon ciclope però non piaceva l’avidità dei suoi amici umani e desiderava solo che essi tornassero a essere umili e gentili come una volta, per cui decise di non regalare più loro le preziose ricchezze delle rocce. La reazione degli uomini per raggirare la decisione del colosso fu a dir poco malevola. Aspettarono che il gigante si addormentasse, salirono di nascosto sul monte dove abitava e rubarono l’oro e le pietre preziose che egli custodiva nella sua caverna. Quando l’essere ciclopico si svegliò e si accorse di quello che gli avevano fatto, prese dei grossi massi e li gettò contro gli uomini che stavano ancora scendendo lungo le pendici della montagna. Dalla paura, i malfattori lasciarono cadere l’oro e i preziosi e fuggirono a gambe levate. Per un po’ di tempo la pace tornò a regnare in quel luogo. Ma poi gli uomini, sempre più avidi, decisero di ritentare il furto delle pietre preziose e dell’oro custoditi nella caverna del gigante. Costui però era sempre all’erta e non dormiva più. Così, a causa della rabbia e della stanchezza, il colosso, un tempo buono e pacifico, diventò feroce e spesso procurava frane giù per i pendii verso il fondo valle.

Un giorno, un giovane salì sul sentiero che portava sulla cima più alta di quel gruppo montuoso, cantando spensierato. Il ragazzo, che aveva un cuore buono e allegro, arrivò nei pressi della grotta del gigante e, con gentilezza, riuscì a convincerlo di non preoccuparsi di lui e di lasciarsi avvicinare, come facevano i valligiani una volta. Il giovane gli offrì il suo aiuto: “Potrei farti da custode, ovvero far la guardia alle tue ricchezze custodite nella grotta, così potrai finalmente riposare e favorire così il ritorno della pace nella valle”. Il gigante osservò a lungo il ragazzo e scrutò profondamente il suo cuore, senza trovarvi menzogna o falsità. Alla fine si fidò di lui e si mise a riposare tranquillo nel suo rifugio tra le rocce. Il giovane costruì una piccola baita accanto alla caverna del gigante, appena sotto la cima dal monte, da dove il suo sguardo si estendeva su tutta la valle. Ogni volta che qualcuno cercava di salire, anche di nascosto, attraverso i sentieri che percorrevano le valli, il ragazzo svegliava il colosso e questi prendeva dei grossi massi e li gettava giù per il pendio contro i malfattori, facendoli scappare. Col tempo, il giovane guardiano divenne adulto e si sposò con una brava ragazza del posto proveniente da una delle poche famiglie non avide, quelle che non avevano mai osato disturbare e derubare il gigante della montagna. Il guardiano e i suoi cari vissero a lungo felici sulla cima del monte con il loro ciclopico amico. Quando il sorvegliante diventò vecchio, suo figlio imparò a vegliare sul sonno del colosso e, dopo di lui, anche suo figlio e il figlio di suo figlio…

Dopo molti anni, gli uomini della valle si arresero e non tentarono più di salire la montagna per derubare i tesori del gigante. Oggi, dove una volta il giovane aveva costruito la sua piccola baita, si trova un rifugio montano, bello e accogliente, base ideale per gli alpinisti, sia prima della scalata, sia come alloggio dove ristorarsi e pernottare. Pietre preziose e oro non si sono più trovati sul quel monte, ma i macigni che il gigante della montagna aveva gettato dietro agli uomini malfattori si possono vedere ancora oggi nella parte posteriore della valle.

 

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Il racconto – raccolto in Alto Adige – narra la storia leggendaria del rifugio Tribulaun ai piedi delle ripide pareti rocciose dell’omonimo Monte (alto 3.097 metri).  La parabola insegna a non essere avidi, inseguendo solo il proprio egoistico tornaconto, ma piuttosto generosi, sempre disponibili ad aiutare gli altri.

Scrive un autore: «Cerchiamo qualcuno che ci difenda diventando il nostro rifugio, perché proteggere è il sinonimo che più si avvicina al verbo amare».