A cura di don Ezio Del Favero

85 – L’impronta sulla roccia

Intendeva raggiungere l’oasi di pace tra le più belle montagne del mondo della quale aveva sentito parlare

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Un giovane cavaliere era intirizzito per il freddo e il suo cavallo era stremato, essendo partiti da terre lontane. Il cavaliere era stato al seguito di un Conte, in una crociata contro gli infedeli che si erano impadroniti della Terra Santa. I partecipanti alla gloriosa spedizione erano stati crudelmente annientati, salvo lui che era riuscito a ricondurre il suo cavallo verso occidente.

Intendeva raggiungere l’oasi di pace tra le più belle montagne del mondo della quale aveva sentito parlare con nostalgia dal Conte: un paese fantastico nel quale avrebbe finalmente ritrovato Dio e dimenticato gli orrori della crociata.

Dopo aver cavalcato a lungo, il giovane arrivò in una valle alpina, ricca di boschi e di pascoli, coronata da montagne imponenti. Fu ammirato dalle bellezze del luogo. Il suo cuore esultava: era quello il paese a lungo sognato. Scese in una valle (Val Visdende), in cerca di un luogo abitato, finché non arrivò in un piccolo borgo. Presso una fontana, una donna stava attingendo l’acqua nei secchi di rame. Il cavaliere si avvicinò per chiederle ospitalità. La donna lo osservò incantata pensando: «Che bel cavaliere! Ha uno sguardo così dolce da far tremare il cuore!». «Torno dalla Terra Santa dov’ero al seguito di un Conte. Abbiamo combattuto a lungo e alla fine sono rimasto solo». Bastò il nome del nobile, ben conosciuto in quelle valli, perché ogni diffidenza cadesse dal cuore della donna.

«Venite, la mia casa è semplice, sono sola e vedova. Un posto alla mia mensa e un letto di foglie di granoturco ci sarà anche per voi e la stalla potrà ospitare il vostro cavallo». Il giovane accettò l’ospitalità e cominciò una nuova vita, all’insegna della sospirata pace.

Passò l’autunno e arrivò il lungo inverno. Quando la neve copri i sentieri e il cavaliere dovette rinunciare alle lunghe escursioni tra le fantastiche montagne, dove la sua anima trovava beatitudine, cominciò a infiltrarsi nel suo cuore la malinconia. Le premure della donna che lo ospitava non erano sufficienti a dissipare lo stato di inquietudine che lo tormentava. Si rinchiudeva in sé e osservava con malinconia le bianche creste delle Dolomiti, chiuso in un cupo silenzio, rifiutando anche il cibo.

L’inverno stava per finire, quando i montanari cominciarono a pestare i ravizzoni per ridurli in poltiglia affinché il vitellino da latte potesse cibarsene. Quel rumore assordante e monotono fece decidere al cavaliere di andare in cerca di un luogo più silenzioso.

Il cuore della donna si strinse quando seppe della decisione del giovane. Aveva sperato di poterlo trattenere per sempre! Gli chiese: «È il battito dei martelli sui ravizzoni oppure quello del mio cuore che vi induce ad andarvene?».

Ma il cuore del cavaliere era così lontano dalle cose terrene, che l’improvvisa dichiarazione della donna finì di abbatterlo. Rispose: «Sono un asceta, la mia anima cerca solo Dio, quel Dio che vi ricompenserà per ciò che avete fatto per me. Debbo disfarmi di tutto quello che mi lega alla terra, perciò vi lascio il mio cavallo. Addio!».

Così il giovane riprese il suo peregrinare, lasciando la donna con il cuore colmo di amarezza. Il viandante discese fino a valle e si avviò lungo il corso del fiume. Quando avvertiva gli stimoli della fame, si saziava di erbe e di radici e poi si rimetteva in cammino tra le bellezze della valle. Arrivato sotto il massiccio del Monte Tudaio, alzò gli occhi a contemplare la maestosa croda. Decise di arrivare lassù, sulla vetta: a quell’altezza gli sarebbe stato più facile avere un colloquio con Dio.

Il giovane iniziò la scalata. Il respiro diventava affannoso, le mani e i piedi sanguinavano, tanto da obbligarlo a fermarsi spesso. Finalmente trovò un masso levigato e vi appoggiò fermamente la mano per dare sollievo al suo corpo stremato. Quando staccò la mano, la sua impronta rimase impressa sulla pietra. Comprese, allora, che Dio era con lui e ciò gli diede nuovo vigore. Era quasi notte quando arrivò in cima al monte, su di un pianoro. Con grande sgomento, si accorse che la montagna scalata non era che l’antecima del Tudaio e che tra questo e il luogo ove si trovava vi era una profonda vallata. Si stese sfinito sull’erba, quando udì una voce: «Solo nell’umiltà mi potrai trovare!». Il viandante s’inginocchiò, chiese perdono a Dio e poi si mise alla ricerca di un riparo per la notte. Ne scorse uno tra le rocce, vi si sdraiò e cadde in un sonno profondo.

Quel riparo, che doveva servirgli da bivacco per una notte, divenne la sua dimora finché visse.


Termina la parabola, raccolta in Cadore (rielaborazione di un racconto trascritto dall’auronzana Ida Zandegiacomo De Zan): «Lassù i paesani eressero una chiesetta (San Daniel), sotto la quale ancora oggi è visibile l’impronta di una mano sulla roccia»…