A cura di don Ezio Del Favero

88 – La ninfea delle montagne

Forse la stella era il presagio delle disgrazie che una volta erano state predette? Ma un astro così bello come poteva far presagire una disgrazia!

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Un tempo, tutto era bello e buono sulla terra. Gli uomini erano come una grande famiglia: si volevano bene, amavano gli animali che vivevano con loro e questi amavano gli uomini e non li temevano. Non c’erano guerre, né tempeste, né fulmini o temporali. Gli alberi e i cespugli erano carichi di magnifici frutti che potevano essere gustati senza rischi. La selvaggina abbondava nelle foreste montane e il mais in pianura. I fiori cospargevano i prati e crescevano sui fianchi delle montagne e sulle rive dei torrenti; profumavano l’aria con la loro fragranza e il canto degli uccellini sembrava musica divina. In quella terra benedetta i nativi vivevano felici, trascorrevano il tempo a caccia e si allenavano nelle diverse discipline. A loro piaceva soprattutto navigare sui torrenti, in canoe che costruivano con cura.

La sera i giovani contemplavano il cielo e ammiravano le stelle, pensando che fossero le dimore degli spiriti buoni e generosi che inondavano di doni il loro Popolo.
Una sera notarono che una stella si stava avvicinando alla terra. Brillava luminosa a breve distanza dalla vetta del monte la cui cima s’innalzava oltre le montagne del Sud. Sembrava approssimarsi un po’ più ogni notte. Affascinati e incuriositi, aspettavano con impazienza la fine della giornata per vedere dove essa sarebbe apparsa nel cielo.

Fatto sta che la stella, sempre più vicina, finì per appoggiarsi in cima agli alti alberi della foresta. Questo suscitò la curiosità generale e i giovani corsero per vederla da vicino. Al loro ritorno, assicurarono che la sua forma ricordava le ali di un uccello. I saggi della tribù non sapevano che cosa dire. Forse la stella era il presagio delle disgrazie che una volta erano state predette? Ma un astro così bello come poteva far presagire una disgrazia!

Passarono diverse lune. La stella sopra la foresta proiettava uno splendore sempre più brillante, quasi a voler esprimere il desiderio di attirare l’attenzione dei nativi.

Una notte, uno dei giovani indiani fece un sogno: vide accanto a sé una ragazza di una bellezza rara, vestita di bianco e tutta brillante, che gli diceva: «Giovane coraggioso, trovo la terra dei tuoi antenati così bella – con i fiori, gli uccelli, i laghi e i fiumi – che ho deciso di lasciare le mie sorelle e venire a vivere in mezzo a voi. Chiedi ai Saggi della tribù che cosa devo fare per essere dei vostri!». Al risveglio vide la stella brillare nel cielo: la sua chiarezza era la stessa di quella che aveva visto irradiare dalla bellissima visitatrice.

L’indomani il giovane raccontò ai Saggi il suo sogno. Cinque giovani furono scelti tra i più coraggiosi per andare a incontrare la stella. Partirono per i sentieri del Sud. Quando essa scese verso di loro, la accolsero e le presentarono il calumet dove bruciavano le erbe profumate. Lei prese la sacra pipa, simbolo di pace, e poi, allargando le sue grandi ali bianche, seguì i guerrieri fino al villaggio.

Tutta la notte e le notti successive fu vista sopra i wigwam (capanne) e i tepee (tende). Finché una notte, di nuovo sotto le spoglie della bella visitatrice, riapparve in sogno al giovane indiano: «Desidero vivere per sempre in mezzo a voi, essere amata dal vostro popolo e far parte della vostra esistenza. Chiedi ai Saggi quale forma dovrei prendere e dove sistemarmi».

I saggi tennero di nuovo consiglio. Dove avrebbe potuto sistemarsi la stella? In cima a un albero? Nel cavo di una roccia? Nel cuore di un fiore?». Indecisi, decretarono: «Ovunque sarai la benvenuta. Sta a te scegliere il luogo in cui sarai felice!». Così la stella scelse il cuore della rosa bianca delle montagne, ma lì era troppo lontana dagli uomini, isolata e nascosta. Allora divenne fiore della prateria, ma capì subito la sua imprudenza: i cavalli non la vedevano e la ferivano schiacciandola durante le loro corse. Quindi si rifugiò sulla roccia, ma, arroccata troppo in alto, i bambini non potevano né vederla né raggiungerla. Finché non le venne l’idea di vivere sul torrente, negli stagni e sui laghi. Avrebbe visto i piccoli giocare sul bordo dell’acqua e i giovani guidare le loro canoe. Sarebbe stata vicina a loro quando si divertivano nella freschezza delle onde e avrebbe sorriso agli anziani rimasti sulla riva.

«Qui sarò felice!», pensò la stella. Il giorno dopo, all’alba, centinaia di fiori acquatici, di un candore immacolato, apparvero sui corsi d’acqua e sui laghi.
Gli indiani riconobbero immediatamente la loro amica e si rallegrarono al pensiero di averla sempre con loro sotto forma di ninfee.
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La parabola – raccolta tra gli indiani Sioux – esprime lo stretto legame tra i nativi e la creazione. Recita un proverbio indiano: «Come il corpo è fatto di molti organi che dipendono tra loro, tutte le creature sono legate una con l’altra».