A cura di don Ezio Del Favero

9 – I fratelli delle Montagne Rocciose

Chavatangakwunua e Weayaya scoprono l'origine del loro nome

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Su di un elevato altopiano pianeggiante delle Montagne Rocciose, vivevano due fratelli indiani, intelligenti, coraggiosi e assetati di conoscenza. Il primo si chiamava Chavatangakwunua, “Piccolo arcobaleno”, il secondo Weayaya, “Sole che splende”.

Una sera chiesero al vecchio saggio della tribù: «Parlaci dell’origine dei nostri nomi!» Il vecchio saggio si mise a raccontare. «Un tempo il Sole appariva solo per un attimo: spuntava a oriente e subito dopo spariva, senza fare un giro completo. Due fratelli come voi, che vivevano da soli nella foresta procurandosi il cibo con la caccia e la pesca, temevano che, riscaldando la terra per un tempo troppo breve, le forme di vita sulla terra, raffreddandosi, andassero incontro alla morte. Essi erano degli abilissimi cacciatori. Decisero di costringere il Sole a compiere l’intero suo giro.
Al mattino uno di loro si recò nella foresta e legò tra le cime degli alberi più alti lacci molto lunghi e resistenti. Quando ritornò nel bosco a controllare la sua trappola, vide sulla cima di un abete la figura tonda del Sole che, preso al laccio, stava per soffocare, senza riuscire a liberarsi. Avvertì subito il fratello e, insieme, accorsero per impadronirsi dell’Astro intrappolato. Ma il Sole, temendo per la sua vita, li supplicò promettendo che, se lo avessero lasciato libero, ogni giorno avrebbe prolungato la sua corsa, diffondendo luce e vita sulla Terra. I due lo lasciarono andare e da allora il Sole compie nel cielo il suo intero giro e risplende a lungo nel cielo».

Il giovane Weayaya (sole che splende) fu contento di sapere che il suo nome aveva un’origine così importante.

Il vecchio continuò: «Un giorno, padre Sole apparve a un giovane indiano e gli disse che avrebbe dovuto cercare una moglie in un territorio lontano e sposare la primogenita delle sorelle, chiamate Quelle-che-il-sole-non-illumina, che vivevano in un villaggio scuro e buio sulle montagne. Spiegò: “Sono così belle che gli uccelli, invidiosi, le hanno imprigionate e solo tu potrai salvarle. Realizzerò un ponte formato da tante strisce colorate, in modo che, trasformato in farfalla, tu possa raggiungerle e portarle via”. Il giovane, trasformato in farfalla variopinta, attraversò il ponte confondendosi con i suoi colori; arrivò dalle sorelle che tessevano un magnifico tappeto dai colori variopinti. Le ragazze cercarono di prendere la farfalla, ma il Sole, che vegliava, ridiede alla farfalla il suo aspetto reale. Il giovane si presentò e annunciò che avrebbe sposato la più grande e sarebbero vissuti tutti insieme nella sua dimora piena di luce. Gli uccelli si lanciarono su di loro per beccarli, ma il Sole li difese. Dopo il matrimonio, i tre vissero felici: lo sposo si dedicava alla caccia, mentre le due sorelle tessevano tappeti. Talvolta gli uccelli si avvicinavano per riprendersi le ragazze, scagliando dei chicchi di grandine che trasformavano progressivamente l’atmosfera in un temporale; dapprima nubi nere, poi pioggia scrosciante, poi ancora grandinata e, infine, lampi e tuoni. Ma ogni volta i raggi del Sole prendevano il sopravvento. Nonostante vivessero felici nella nuova casa piena di luce, periodicamente le giovani erano prese dalla nostalgia e il Sole, ogni volta, ricreava il ponte colorato perché potessero raggiungere la loro vecchia dimora buia per poi ritornare alla casa del Sole. D’allora, quando scoppia un temporale, esso è sempre seguito dall’arcobaleno».  Così anche il giovane Chavatangakwunua (piccolo arcobaleno) fu contento di sapere che anche il suo nome aveva un’origine così importante.

La voglia di apprendere dei due fratelli non si esaurì così, ma le parole del vecchio saggio diedero loro un grano di sapere in più…

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Il racconto – raccolto sulle Montagne Rocciose Canadesi – evidenzia lo stretto legame tra gli uomini e la natura.

Recita un proverbio Lakota: «Quando un uomo si allontana dalla natura, il suo cuore diventa duro».

Navajo: «L’arcobaleno è un segno di Colui che è in tutte le cose».
Sioux: «Gli uomini bianchi credono che la luna sia solo la luna: noi diciamo che è nostra nonna. Pensano che il tuono non sia altro che il tuono: noi lo chiamiamo nonno. Il sole è per loro una grande palla di fuoco: noi lo conosciamo come nostro fratello».