Il gigante Lavaredo
si era perdutamente innamorato di una bellissima fanciulla. Lui abitava sui monti e lei era la principessa della Val d’Ansiei, che, con la sua voce armoniosa e squillante, cantava le canzoni della montagna deliziando la valle percorsa dal fiume Ansiei.
Ma la vezzosa principessa non poteva corrispondere l’amore di Lavaredo perché amava un altro gigante e da questo amore nacque un figlio, al quale venne dato il nome di Auronzo. L’amore di questo gigante fu di breve durata; il crudele, infatti, abbandonò ben presto la bella principessa. Il loro figlio, Auronzo, scese nella valle e fissò la sua abitazione nel punto dove sorse il paese che da lui prese il nome.
Però il gigante Lavaredo continuava ad amare la principessa della Valle. In virtù di questo suo immenso amore, decise di offrire al figlio della donna amata un gruppo di crode il più bello che fosse mai esistito. Il buon gigante si mise all’opera, spaccando crode e ghiaioni e scolpendoli. Dopo un lungo e faticoso lavoro, poté infine incidere e modellare nella roccia tre altissime cime, la cui simmetria riuscì tanto armonica e meravigliosa da rendere quel gruppo di crode unico al mondo. Si accinse quindi al lavoro di cesellatura delle tre cime, intagliate con tanta cura e tenacia, ma il generoso gigante non poté terminare che la più piccola, perché gli mancarono le forze e, ormai sfinito dalla dura fatica, cadde affranto per non rialzarsi più. E sul suo corpo inerte rotolarono i sassi da lui stesso scavati, fino a ricoprirlo. Il suo braccio destro, con la mano che aveva compiuto l’opera ardita e stupenda, dette la forma a un’ampia forcella, la forcella di Lavaredo.
Fu così che di queste tre cime meravigliose, una, la Piccola (2.857 m.), venne finita, mentre le altre due, la Grande (2.999) e la Ovest (2.973 m.), non poterono essere che abbozzate. In seguito, esse portarono il nome del buon gigante che le aveva ideate, scolpite e modellate: le Tre cime di Lavaredo.
La parabola termina precisando: «Auronzo, il figlio della principessa della Val d’Ansiei, al quale Lavaredo aveva dedicato la sua opera sublime, dal fondo della valle poté ammirare in eterno questo vero capolavoro di incomparabile magnificenza».
***
Misurina era una Principessa
molto bella e anche capricciosa. Figlia unica del Re Sorapiss, governatore delle Dolomiti tra Le Tofane, l’Antelao, le Marmarole e le tre Cime di Lavaredo, era cresciuta senza madre e il padre aveva sempre fatto di tutto per accontentare le sue richieste, per cui la bimba era cresciuta viziata. Giunto il suo ottavo compleanno, Misurina chiese al padre un oggetto proibito: voleva in regalo lo specchio della fata che viveva nel monte Cristallo. Aveva scoperto della sua esistenza e del suo magico potere di leggere i pensieri di chiunque si specchiasse.
Il padre di Misurina, il Re Sorapiss, inizialmente lo negò, ma essendo sua figlia davvero molto egoista alla fine decise di accontentarla e la accompagnò dalla fata del Monte Cristallo, l’unica che avrebbe potuto darle lo specchio. Anche la fata era restia ad accontentare la principessa e cercò a lungo di dissuaderla dal suo intento, ma vedendo quanto era affranto il padre Sorapiss decise di accontentare la ragazza ponendo però una condizione molto impegnativa. Sperava infatti potesse farla desistere dal suo intento per amore del padre.
La fata chiese al Re Sorapiss, in cambio dello Specchio delle Fate, di essere trasformato in una montagna per salvare dal sole battente il suo bellissimo giardino di fiori sul monte Cristallo. Il Re per amore della figlia accettò lo scambio. Sarebbe diventato un monte purché sua figlia Misurina avesse lo specchio. La principessa egoista, pur sapendo del patto tra Re Sorapiss e la Fata, prese felice il suo specchio e non si rese conto che il padre si stava trasformando in una montagna, grande e ricca di alberi e crepacci, il monte Sorapiss.
Così Misurina si trovò sulla cima del padre divenuto montagna e, guardando il vuoto sotto di lei dall’alto del crepaccio, ebbe una vertigine, cadde e morì. Nei suoi ultimi istanti da umano, il Re Sorapiss pianse talmente tanto per la morte della figlia che dal monte si crearono due ruscelli, i quali arrivarono a valle e formarono un piccolo lago dai molteplici riflessi.
Termina la parabola dolomitica: «Lo specchio delle Fate che aveva in mano Misurina cadde e si ruppe in mille pezzi. Questi, portati a valle dall’acqua, donarono al Lago di Misurina i magnifici riflessi che ancora oggi si possono ammirare».